La baronessa (al) volante: Maria Antonietta Avanzo
Un secolo fa cominciava l’avventura della donna che ha segnato la storia del femminismo riscrivendo “al femminile” quella dell’automobilismo: si tratta della prima pilota a correre la Mille Miglia da Brescia a Roma e ritorno, la Targa Florio lungo le nervose strade della Sicilia e a provare a qualificarsi alla 500 Miglia di Indianapolis
di Dario Ricci
4' di lettura
Fu avventuriera, donna libera ma soprattutto vien da dire, pilota, o meglio pilotessa, e mai licenza linguistica fu più giustificabile, vista la storia di Maria Antonietta Avanzo. Fu lei infatti la prima donna a correre la Mille Miglia da Brescia a Roma e ritorno, la Targa Florio lungo le nervose strade della Sicilia e a provare a qualificarsi alla 500 Miglia di Indianapolis. E fu lei la donna che tra gli anni Venti e Trenta riscrisse al femminile la storia dell'automobilismo in Italia.
Classe 1889, veneta di Porto Viro (allora denominata Contarina, in Polesine), proprio un secolo fa, nell'ottobre 1920, la Avanzo disputava la sua prima gara, il Circuito del Lazio. Da lì in poi, una carriera (e una vita intera!) tutta tra avventure....uomini e motori, per quella che è stata una pioniera non solo per lo sport femminile, ma anche per il movimento di emancipazione delle donne in Italia.
Spirito indomabile
«Non è un caso se ho intitolato il libro che le ho dedicato L'indomita: perché lei era proprio così, una donna capace di prendere tra le mani il proprio destino come faceva col volante di quelle automobili che amava e guidava alla pari coi campioni del suo tempo»: così Luca Malin, appassionato d'auto d'epoca e scrittore, ricorda Maria Antonietta Avanzo. «La passione per le auto? Sembra l'avesse ereditata dal papà – spiega ancora Malin -, e ne fu depositaria unica in famiglia, ma tramite la sorella Elettra la trasmise per via indiretta al nipote, che divenne il celebre regista Roberto Rossellini, che proprio per i motori (e le belle donne!) ebbe un amore sconfinato!».
Ad assecondare i suoi entusiasmi motoristici anche il marito, sottolinea ancora Malin: «Dopo il matrimonio col barone Eustachio Avanzo, si trasferì a Roma e, per festeggiare la fine della Prima Guerra Mondiale, il marito le regalò una potente Spa 35/50 Sport. Proprio con questa vettura disputò, nell'ottobre 1920, il Giro del Lazio, la sua prima gara. E Sempre nel 1920, Maria Antonietta ebbe per la prima volta la gioia del podio: nella Coppa d'Inverno, a Rocca di Papa, ottenne il terzo posto, malgrado un piccolo…inconveniente: perse infatti in curva il copilota, il povero Nik Rodes, ruzzolato giù da una scarpata!».
Talento vero
«La conobbi durante la Mille Miglia storica del 1968, quando ormai il suo mito si era consolidato; bastarono poche battute per intuirne la tempra, e poche sgommate per capire che il suo al volante era un talento vero, altro che leggende!»: Gianni Cancellieri, decano del giornalismo automobilistico italiano, ha ancora ben vivo nella memoria l'incontro con la “baronessa” (come era soprannominata Maria Antonietta Avanzo, che pure di famiglia nobile non era, ma che aveva appunto ereditato il lignaggio dal consorte). Seppe attirare anche le attenzioni del giovane Enzo Ferrari, in quegli anni giovane pilota che già stava costruendo il suo futuro di grande costruttore e la sua scuderia – sottolinea Cancellieri – perché nel 1921 acquistò una macchina da corsa americana, una Packard dodici cilindri – proprio il motore di cui Ferrari si era ostinatamente e giustamente invaghito - con la quale disputò una corsa in Danimarca, sulla pista di Fanø, nei pressi di Copenaghen. E Avanzo si confrontò con tutti i grandi campioni del suo tempo; tra questi, anche con l'esordiente Tazio Nuvolari da cui fu battuta, al Circuito del Garda, sempre nel 1921, guidando entrambi un'Ansaldo Tipo 4. Ma la “baronessa” seppe mettersi in luce anche alla guida di Alfa Romeo e Maserati».
Pioniera
Avventure che Avanzo visse da protagonista non solo la volante. «Basti pensare che tentò di qualificarsi anche per la 500 Miglia di Indianapolis, visse in Australia per un periodo insieme ai due figli, che sottrasse al marito dopo averne scoperto il tradimento, e che concluse la carriera di pilota in Africa, prima di dedicarsi a mille altri interessi, tra cui imprenditoria e cinema», ricorda ancora Luca Malin. Ma quale segno ha lasciato, la pilotessa (morta nel gennaio del 1977), nel mondo nei motori? «Il suo esempio fu d'ispirazione per altre donne al volante – evidenzia ancora lo scrittore – come Maria Teresa De Filippis, che poi correrà effettivamente in Formula Uno, e ‘Lella' Lombardi, unica donna a conquistare un punto iridato nella stessa categoria».
E quanto son valse, le sgommate della Avanzo, nella lunga strada dell'emancipazione femminile?
«L'atteggiamento del regime fascista verso le donne che praticavano sport (e dunque anche verso le donne pilota) era ambivalente – spiega Silvia Cassamagnaghi, storica presso l'Università degli Studi di Milano - , un miscuglio di fisiologia positivistica e conservatorismo cattolico, il tutto arricchito da una buona dose di opportunismo. Per le ragazze la “ricreazione fisica” doveva essere saggiamente amministrata, per assicurar loro la grazia che le rendeva attraenti e aiutare – o, quantomeno, non danneggiare – le loro capacità riproduttive. Una quantità di regolamenti, ingiunzioni e abitudini differenziava lo sport maschile da quello femminile: l'automobilismo faceva, ovviamente, eccezione e, tuttavia, si cercò di promuovere campionati e competizioni separate, con l'istituzione di corse automobilistiche riservate esclusivamente al “gentil sesso”. Insomma, il cammino per l'emancipazione sarebbe iniziato nel secondo dopoguerra, ma di sicuro quelle donne trassero forza e motivazioni anche nel vedere, nel loro specchietto retrovisore, la Packard di Maria Antonietta Avanzo che idealmente le incalzava ad andare avanti».
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