La Bce, il doppio errore e il boomerang dei tassi reali
La Bce continua a perseguire una politica in cui c’è un doppio errore. Il primo è quello di stare zitta: non annunzia il percorso futuro dei tassi di interesse, aumentando l’incertezza.
di Donato Masciandaro
3' di lettura
La Bce continua a perseguire una politica in cui c’è un doppio errore. Il primo è quello di stare zitta: non annunzia il percorso futuro dei tassi di interesse, aumentando l’incertezza. Il secondo è forse anche peggiore del primo: lascia intendere che i tassi di interesse certo non scenderanno, anzi verosimilmente rimarranno alti a lungo, pronti a salire. L’allusione rischia di confondere ancor di più le aspettative, incidendo sui tassi reali, quelli che contano per la crescita. Il rischio è che la restrizione monetaria diventi anche più dura di quello che a Francoforte si vorrebbe. Un autentico boomerang.
La pubblicazione del bollettino economico della Bce non ha portato novità sul fronte della comprensione della strategia di politica monetaria per i prossimi mesi. Si continuerà con la politica diciamo dell’usignolo «muto, perché ama il buio, ma occhieggiante», modificando ad hoc la metafora shakespeariana: da un verso, si continua a non annunziare il percorso futuro dei tassi, proseguendo nella politica delle decisioni prese riunione per riunione; da un altro verso, si allude a tassi che di sicuro non scenderanno, e magari aumenteranno, per lungo tempo; poi l’allusione ieri è diventato una dichiarazione della presidente Lagarde, che ha parlato di «almeno due trimestri». È una politica in cui si sommano due errori. Vediamo perché.
Partiamo da quella che viene ritenuta la situazione ideale: una congiuntura economica caratterizzata dai cosidetti tempi normali: non sono presenti squilibri macroeconomici rilevanti, e la crescita economica dipende dal tasso reale atteso. Il tasso reale atteso è quello che determina le decisioni delle imprese, reali e finanziarie, nonché delle famiglie, circa il livello di indebitamento: più il tasso reale atteso sarà basso, più aumenterà il debito, più investimenti e consumi aumenteranno, e con loro la crescita economica. Il tasso reale atteso dipende a sua volta dalla differenza tra il tasso nominale atteso e l’inflazione attesa. Entrambe le variabili dipendono da quello che la banca centrale fa e dice. Ecco perché la migliore analisi economica prescrive la massima trasparenza della politica monetaria, cioè l’allodola shakespeariana, che ama la luce: tassi di interesse ed immissioni di liquidità devono essere programmate ed annunziate (regola monetaria), con l’impegno a rivederle in presenza di notizie e/o previsioni rilevanti (flessibilità).
La regola monetaria flessibile ha sostanzialmente caratterizzato
la politica della Bce fino al luglio 2022.
Poi la Bce si è arresa all’evidenza che l’inflazione non poteva essere più definita temporanea, ed il ritorno alla normalità andava spostato in avanti: dal 2024 al 2025. La strategia diventava quella dell’usignolo, con l’argomento che con l’aumento dell’incertezza tale scelta diveniva obbligata. Ma l’analisi economica e l’esperienza di altri Paesi ha continuato a dire l’opposto: da un lato, l’aumento dell’incertezza rende ancor più importante il ruolo della banca centrale come bussola per l’economia privata; da un altro lato, le banche centrali svedese,
norvegese e neo zeolandese continuano ad utilizzare la strategia degli annunzi monetari.
Il silenzio è rischioso, ma occhieggiare è anche peggio. Infatti la politica monetaria è efficace solo se la banca centrale è credibile: ma la credibilità di una banca centrale è sempre meno probabile quando quello che essa fa o (non) dice deve essere interpretato. L’interpretazione – il cosidetto effetto Delfi – apre la porta a dinamiche delle aspettative indesiderate, perchè i sentieri che le attese possono percorrere diventano multipli. In questo caso, l’incognita è tripla: verrà creduta la dichiarazione informale che i tassi nominali saranno fermi per almeno due trimestri? Si riterrà efficace tale condotta della politica monetaria? E si riterrà credibile l’impegno a modificare i tassi, al variare dei dati disponibili, dopo che per un anno e mezzo la Bce non lo ha fatto? È evidente come bastano le diverse possibili combinazioni tra le tre risposte che si possono dare per rendere lampante il fatto che la Bce sta solo contribuendo ad aumentare l’incertezza. L’effetto sui tassi reali attesi è così assolutamente imprevedibile, inclusa la possibilità che la recessione effettiva sia maggiore di quella desiderabile dalla Bce. C’è del metodo in questa follia, direbbe il Bardo. Purtroppo.
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