ServizioContenuto basato su fatti, osservati e verificati dal reporter in modo diretto o riportati da fonti verificate e attendibili.Scopri di piùLa riunione di ottobre

Bce verso stop al rialzo dei tassi: aspetta novembre per valutare gli effetti

Gli analisti non si aspettano un rialzo dei tassi e i modelli della banca centrale suggeriscono che i rialzi sono terminati, ma è davvero l’inizio di una fase nuova?

di Riccardo Sorrentino

La presidente della Banca centrale europea Christine Lagarde

4' di lettura

Le attese sono abbastanza univoche. La Banca centrale europea non alzerà nuovamente i tassi nella sua riunione di ottobre, che si svolge ad Atene. Aspetterà eventualmente i dati di novembre, per capire quanto la stretta stia incidendo sull’economia. Gli effetti del rialzo dei tassi sembrano infatti più rapidi di quanto si era immaginato. In situazioni normali, la politica monetaria incide sui prezzi – si dice – in un paio d’anni; ora, a 15 mesi dall’inizio della manovra qualcosa sembra già muoversi.

Obiettivo prioritario

Non tutti sono convinti che sia la mossa giusta. I “falchi” continueranno a insistere per alzare il costo del credito. Non è una posizione ideologica, o dogmatica. Se la stabilità dei prezzi è obiettivo prioritario della Bce, se la categoria più danneggiata dall’accelerato costo della vita è quella dei lavoratori che difficilmente potranno recuperare il potere d’acquisto perduto, un approccio “duro”, con effetti rapidi, non è fuori luogo. Le considerazioni sulla crescita, o sul peso dei tassi alti per bilanci pubblici e privati possono entrare nell’equazione solo come effetti collaterali, non irrilevanti, ma - per quanto la cosa possa apparire paradossale - sicuramente secondari.

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Le simulazioni sul tasso sui depositi

La scelta di mantenere i tassi fermi trova in ogni caso un sostegno - spiegano le minute di settembre - in alcuni modelli che indicano un tasso sui depositi al 3,75%-4% : «mantenuto per una durata sufficientemente lunga dovrebbe essere coerente con un ritorno dell’inflazione all’obiettivo (del 2%, ndr) entro l’orizzonte temporale delle proiezioni», che si spingono fino al 2025. Si tratterebbe di un livello coerente con le analisi di economisti esterni e sulle indicazioni del mercato. L’ultimo rialzo, al 4%, avrebbe quindi avuto la funzione di garantire il risultato da incertezza e da fluttuazioni indesiderate e impreviste del percorso dell’inflazione verso il basso.

L’inflazione core resta sopra il 5%

L’INFLAZIONE IN RAPIDO CALO
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La scelta della Bce è ora quella di guardare a cosa sta accadendo per verificare che tutto si muova secondo i modelli. I dati – osservati dall’esterno, senza i sofisticati modelli delle banche centrali – mostrano sicuramente una flessione dell’inflazione complessiva e anche dell’inflazione core. I numeri sono ancora alti: 5,5% l’inflazione di fondo, al di sopra di quella soglia del 5% che, secondo il capo economista Philip Lane, dovrebbe suggerire di non lanciare segnali di indecisione. In base alle aspettative di inflazione “adattative”, le più comuni e le più difficili da controllare perché tendono a proiettare nel futuro l’attuale dinamica dei prezzi, i tassi reali sono ancora negativi, a fronte di un tasso di riferimento del 4,50% e un tasso sui depositi (che la Bce tende a considerare ancora il più importante in questa fase) del 4 per cento.

Aspettative di inflazione troppo alte?

5Y-5Y INFLATION RATE SWAP
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Anche le aspettative di inflazione per così dire “razionali” vanno monitorate attentamente, come la stessa Bce sottolinea spesso. Gli inflation rate swap 5y-5y, che indicano l’inflazione a cinque anni tra cinque anni, non sono soltanto a un livello che solleva qualche inquietudine, il 2,5% dopo aver toccato 2,67% ad agosto, ma solo nelle ultime settimane ha mostrato una tendenza a stabilizzarsi. Durante la riunione di settembre, Isabel Schnabel ha sottolineato che, anche tenendo conto dell’aumento dei premi al rischio su questi prodotti, le aspettative segnalano «un piccolo rialzo».

Si fermano i prestiti

SI FERMANO I PRESTITI ALLE AZIENDE
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Altri dati sostengono la decisione di fermarsi, almeno per una breve pausa. Anche se danno indicazioni che per il momento non possono che essere considerate provvisorie. Le proiezioni di inflazione dello staff della Banca centrale europea indicano, in un orizzonte di due anni – quello più rilevante, per esempio, per gli investimenti – un’inflazione del 2% e un tasso reale quindi piuttosto elevato rispetto a quello che potrebbe essere il tasso di equilibrio di Eurolandia, ormai piuttosto basso. I prestiti per le imprese non finanziarie hanno registrato, ad agosto, la prima flessione – su base annua, l’unica rilevante: i dati non sono destagionalizzati – da settembre 2017. È un singolo dato, però, e non segnala ancora una tendenza.

Costo del credito: un piccolo calo in Italia e Francia

IL COSTO DEL CREDITO - IMPRESE NON FINANZIARIE
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Il costo del credito non ha mai raggiunto i massimi storici – l’inflazione, invece, lo ha fatto – ma resta comunque in rialzo, soprattutto in quella Germania che più di altre economie ha sentito il peso della stretta. In Francia e in Italia, invece, si è assistito una leggerissima flessione che, anche in questo caso, non indica certo un’inversione di tendenza e al momento non va enfatizzata.

Il rialzo dei rendimenti

I RENDIMENTI DAL 2021
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Il pavimento dei tassi creditizi, i rendimenti dei titoli pubblici di Eurolandia – calcolati dalla Bce come media ponderata al pil – sono del resto ancora in crescita e, tra il meeting di settembre a oggi, hanno segnato un aumento relativamente rapido che potrebbe effettivamente incidere nuovamente su prestiti e attività economica. L’inversione della curva, che già a settembre era valutata dal consiglio come coerente con aspettative di una recessione non severa, non è però peggiorata.

Euro e offerta di moneta

Le condizioni finanziarie “a monte” della catena di trasmissione della politica monetaria sono completate da un cambio effettivo – molto meno rilevante dei rendimenti – che resta in flessione e si allontana dalla media di lungo periodo, che è un livello di riferimento – per quanto “banale” – del valore di equilibrio. Non è del tutto irrilevante segnalare – anche se i due dati non compaiono più nei modelli macroeconomici – che la base monetaria e l’offerta di moneta M1 sono entrambe in rapida flessione.

Una decisione difficile

È la decisione giusta, fermarsi ora? Un rischio c’è: quello di segnalare la fine della fase restrittiva - e magari di dar inizio a quelle relative al prossimo taglio - prima del tempo. Il mese scorso, è emerso in modo abbastanza chiaro dalle minute, era comunque troppo presto per mettere davvero la parola fine alla stretta. Non molto sembra cambiato da allora: non tanto da segnalare davvero l’inizio di una fase nuova. Se una pausa di otto settimane non è gran cosa - la prossima riunione è prevista il 14 dicembre - a questo punto della stretta, la comunicazione della Bce deve diventare però molto chiara. La trasparenza, nel corso di questa stretta, è stata limitata; anche se si vuole giustificare la scelta di procedere “meeting dopo meeting”, sulla base dei dati, per evitare che i mercati andassero troppo oltre le intenzioni della banca centrale, ha anche dato l’impressione di una politica monetaria gestita sulla base di un continuo compromesso tra falchi e colombe, tra inflazione e crescita: un gioco in cui la presidente Christine Lagarde riesce molto bene, ma che lascia perplessi gli operatori economici.

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