Bce valuta una frenata nella stretta: i tassi potrebbero salire di 50 punti base
In assenza di forward guidance il rischio è quello di lanciare messaggi ambigui. Sarà discussa anche la riduzione del portafoglio titoli
di Riccardo Sorrentino
I punti chiave
3' di lettura
Settantacinque o cinquanta? Il tasso di riferimento salirà al 2,75% o al 2,50%? Alla fine, la decisione della Banca centrale europea sarà probabilmente più politica che tecnica, come spesso è accaduto durante la presidenza di Christine Lagarde: sarà l'equilibrio tra falchi e colombe, oggi forse più numerose, a determinare l'esito finale (sui tassi così come sulla riduzione del portafoglio titoli). La Bce ha alzato i tassi di 75 punti base per due volte consecutive (dopo un rialzo di 50 punti base), partendo da quota zero (e da tassi negativi, il -0,50%, sui depositi pressi la Bce, oggi all'1,50%).
Un’inflazione ancora molto alta
Saranno le nuove proiezioni a dare indicazioni precise sulla bontà della decisione di dicembre. Le colombe temono di scatenare una recessione troppo profonda rispetto a quella necessaria per raffreddare i prezzi e chiedono di rallentare il passo (nessuno sembra mettere in discussione l'idea che la stretta debba continuare); ma il rischio opposto è quello di lasciar correre l'inflazione, che ha raggiunto il 10%, con un indice core in crescita del 6,6% annuo. Solo livelli – che “pesano” sull'inflazione nell'immediato futuro - molto elevati rispetto al livello dei tassi nominali. Le aspettative di inflazione di lungo periodo, se misurate attraverso gli inflation swaps 5y5y, sono intorno al 2,4%: i tassi di riferimento reali sono in ogni caso ancora molto bassi. Anche tenendo conto del fatto che in Eurolandia la spinta della domanda sui prezzi è più bassa – ma non al punto da diventare trascurabile – rispetto agli Stati Uniti.
Rendimenti reali negativi fino ai sei anni
La curva dei rendimenti appare ancora a livelli relativamente bassi: per trovare un tasso reale positivo, sulla base delle aspettative di lungo periodo (le più “favorevoli”) occorre arrivare alle durate superiori ai sei anni. Anche in Eurolandia, come negli Usa, si è assistito però a una flessione dei rendimenti rispetto a ottobre, segnale forse di una manovra che comincia a lasciare il segno: o nel senso che sono aumentati i rischi di recessione o nel senso che sono aumentate le probabilità di un effettivo calo dell'inflazione (e le due cose sono del tutto compatibili tra loro). Anche il cambio effettivo, l'altro elemento che definisce le condizioni finanziarie, è in leggero rialzo dai minimi; resta però lontano dalla media di lungo periodo.
Costo del credito in moderato rialzo
In assenza di un indice ufficiale o semiufficiale – come quello elaborato dalla Fed di Chicago – sulle condizioni finanziarie, occorre esaminare i singoli dati per capire se la stretta è arrivata a valle della catena di trasmissione della politica monetaria. I prestiti alle imprese, a ottobre, erano ancora in rialzo: +8,3% rispetto a un anno prima, anche se probabilmente le aziende iniziano a far debiti per finanziare le attività correnti e non gli investimenti. Il costo del credito è aumentato – al 2,72% il livello medio di Eurolandia, al 2,64% in Italia – ma resta ancora basso in termini reali, anche prendendo come punto di riferimento le aspettative di lungo periodo.
Inflazione salariale oltre il 3%
La Bce dovrebbe essere però preoccupata di due elementi che minacciano di alimentare ulteriormente l'inflazione. Il primo riguarda l'inflazione salariale, la distanza tra l'aumento dei salari e l'aumento della produttività. A settembre – come a marzo – aveva raggiunto il 3,3%, a fronte di una media di lungo periodo dello 0,41%.
Più «caldi» i salari negoziati
Il secondo elemento riguarda l'incremento dei salari negoziati, molto importanti in Eurolandia: dall'inizio dell'anno hanno superato l'obiettivo di inflazione, sfiorando il 3 per cento. I due dati non segnalano ancora il rischio di una spirale salari-prezzi-salari, ed è più che normale che i lavoratori cerchino di compensare almeno parte del potere d'acquisto perduto e che le imprese, entro certi limiti, le assecondino. Il rischio di uno sganciamento delle aspettative però è reale.
Il rischio dell’ambiguità
Una corretta scelta di risk management imporrebbe allora di non lanciare messaggi ambigui agli operatori economici. Un'eventuale decisione di rallentare la stretta va spiegata molto bene: a Washington la Fed, per esempio, ha invitato da tempo a cambiare prospettiva, a guardare non alla rapidità della stretta ma alla sua durata e al suo punto di arrivo. In Eurolandia non c'è stata una simile preparazione, e il rifiuto di una forward guidance, che avrebbe molto aiutato, rende molto difficile il compito della Bce di comunicare chiaramente, e più concretamente, la sua volontà e la sua determinazione.
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