La bellezza del grigio secondo Moses Sumney
Il monumentale “græ” non è solo un doppio album, è una mappa che indica la direzione che la musica potrebbe prendere per continuare a trasmettere emozioni in modo intenso, abbinando slanci melodici e suoni d'avanguardia pop
di Claudio Todesco
2' di lettura
Un giorno qualcuno scoprirà il momento esatto in cui abbiamo capito che tutto era stato scritto, suonato, cantato. Che il potenziale del pop tradizionale s'era infine realizzato. Che il passato era pieno di canzoni meravigliosamente semplici e scriverne di simili non avrebbe descritto quel che proviamo. Da quel momento abbiamo cominciato a cercare la bellezza in posti inusuali. Nella singolarità, per esempio. Nell'audacia, nei dettagli, nell'indeterminatezza. È esattamente quel che fa l'americano Moses Sumney nel monumentale græ (si scrive così, tutto minuscolo).
Non è solo un doppio album pubblicato in due fasi, la prima metà solo in digitale il 21 febbraio e l'intero progetto anche in formato fisico il 15 maggio. È una mappa che indica la direzione che la musica potrebbe prendere per continuare a trasmettere emozioni in modo intenso, abbinando slanci melodici e suoni d'avanguardia pop. È una grande prova del talento canoro di Sumney, che passa dal registro confidenziale al falsetto sexy, dal tono vellutato al sussurro sofferente senza mai sembrare eccessivo o affettato.
Per descrivere l'effetto che fa questo disco, il New Yorker ha tirato fuori una vecchia frase dello psicologo e musicologo Carroll C. Pratt che ben definisce la musica di Sumney e il modo difficilmente razionalizzabile in cui evoca sensazioni: «La musica suona allo stesso modo in cui le emozioni sentono». Californiano, figlio di genitori immigrati clandestinamente dal Ghana, Moses Sumney incarna nella biografia, nell'identità e nella pratica musicale una splendida indeterminatezza.
Ha iniziato con il folk a bassa fedeltà e ha progressivamente arricchito il proprio vocabolario sonoro attingendo da soul, pop, jazz, indie rock. Canta spesso di relazioni. Se nel debutto del 2017, Aromanticism, si dichiarava incapace di allacciare legami sentimentali stabili, in græ ridefinisce il concetto di mascolinità.
Desiderio, amore, fantasie e solitudini sono proiettati in un mondo post #MeToo. Sumney prende per esempio il nome tradizionalmente usato nel folk americano per indicare una donna vittima di un uomo, la povera Polly che nelle ballate di cent'anni fa veniva rapita, stuprata e ammazzata, e lo usa per descrivere una seduttrice potente. Non si limita a cantare la molteplicità dell'identità come avviene in Also Also Also And And And. Ci fa percepire in modo vivido il mondo di possibilità che si apre con la fine di ogni binarismo. Non esistono solo il bianco e nero, dice. Molto più spesso quel che vediamo è grigio. Grey, in inglese. Anzi, græ.
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