La cancellazione dell’E3 di quest’anno è la fine di un’era. Ma non mancherà ai videogiocatori
L’Electronic Entertainment Expo, meglio conosciuto come E3 è stato per 27 anni qualcosa di più della fiera più grande del mondo dedicata al videogioco
di L.Tre.
2' di lettura
Chi c’è stato lo sa. L’Electronic Entertainment Expo, meglio conosciuto come E3 è stato per 27 anni qualcosa di più della fiera più grande del mondo dedicata al videogioco. Per i giornalisti videoludici era la Sanremo del gaming, era come per uno reporter di calcio entrare nello spogliatoio e incontrare i giocatori. Là ci trovavi i colleghi, gli sviluppatori, gli editori, il game designer star e gli studi emergenti, le grandi catene di elettronica di consumo e i produttori di gadget e magliette, insomma tutti coloro che in modo o nell’altro si consideravano addetti al lavori. Ecco perché la notizia della cancellazione dell’E3 di quest’anno non è stata presa a mente fredda da chi ogni anno a giugno si teneva una settimana libera nel calendario.
Ma certamente non era qualcosa di inatteso. Anzi, è stato il prodotto di un concorso di colpe che conoscevamo già da tempo. Come ad esempio la scelta tardiva di ammettere il pubblico aprendo le porte dei Los Angeles Convention Center anche ai curiosi. I prezzi troppo alti per gli stand espositivi. E poi ci si è messa pure la pandemia a tirare la mazzata finale. Quello dell’E3 non è un funerale, ma il segnale di un mercato anzi di un ecosistema che è mutato nel giro di pochissimo tempo. Sono cambiati gli attori, i modelli di business e persino i giocatori. Twitch e le piattaforme video hanno polverizzato l’evento fisico rendendo semplice per chi pensa, progetta e produce videogiochi rimanere in contatto con il proprio pubblico. Ha iniziato Nintendo nel 2011 a trasmettere in streaming presentazioni di videogiochi, interventi di manager, showcase e demo.
Com’è avvenuto in altri settori come ad esempio quello degli smartphone, i produttori ed editori hanno usato internet per comunicare al loro pubblico di fan organizzando eventi fisici esclusivi. Un po’ come Apple che non ha mai partecipato alle fiere hi-tech. Quanto al mercato nell’ultimo decennio le vendite di videogiochi si sono progressivamente digitalizzate, le catene come GameStop hanno perso pubblico, sono arrivati gli influencer, content creator o YouTuber che dir si voglia. Professionisti e non che giocando in diretta hanno iniziato a raccontare e promuovere il videogioco. Il gaming è diventato il mercato dell’elettronica di consumo più fluido confermandosi un laboratorio innovativo di nuovi linguaggi, marketing e mode.
L’E3 per anni, sicuramente all’inizio, era il luogo dove stava nascendo qualcosa di nuovo. Oggi quel mercato si è industrializzato, ha perso fantasia e creatività e forse è meno sorprendente da raccontare. Los Angeles era il place to be per capire come il medium ludico avrebbe influenzato la società. A chi l’ha vissuto mancherà moltissimo. Ma i giocatori, i nuovi videogiocatori, non si accorgeranno di nulla. Ed è giusto così.
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