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La carne italiana matura con la diversificazione: dai marchi di qualità all’Igp

Le strategie per rispondere ai consumatori che chiedono attenzione su provenienza e benessere animale

di Emiliano Sgambato

(Imagoeconomica)

3' di lettura

La carne italiana dovrà intercettare consumatori «sempre più attenti e consapevoli dei problemi etici e ambientali» che «sceglieranno un prodotto in grado di garantire la qualità, il salutismo e la territorialità». Serve quindi un’offerta «più identitaria», che valorizzi elementi come «qualità organolettica» e «marchi di garanzia del rispetto animale e ambientale». Le conclusioni dell’ultimo report Ismea sulle tendenze della carne bovina sottolineano l’importanza di riconoscibilità e differenziazione, senza dimenticare che le famiglie con meno potere d’acquisto sceglieranno comunque la convenienza di prezzo.

Seppur dai tempi della mucca pazza la carne è all’avanguardia per tracciabilità, non sempre i consumatori sono consapevoli della provenienza di ciò che acquistano e di come è stato allevato. La Gdo ha creato proprie “linee di prodotto” che hanno cominciato a chiedere agli allevatori esclusivamente animali di alcune razze, alimentati in un certo modo, con meno utilizzo di farmaci eccetera, creando quindi una sorta di “bollino di qualità” controllato con criteri interni.

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Hanno fatto invece più fatica ad affermarsi marchi di produttori esterni alla Gdo, regolati da disciplinari di enti terzi. Consorzio Sigillo Italiano è nato con l’obiettivo di riunire sotto il cappello di un unico marchio i produttori Sqnz – certificazione riconosciuta dal Mipaaf e a livello europeo – che rispettano determinati standard di qualità degli allevamenti in termini di alimentazione e benessere animale. Sigillo Italiano raccoglie ormai quasi tutte le realtà capofila già esistenti in Italia – che possono decidere se continuare a usare il loro marchio o solo quello del Sigillo o associarli – come ad esempio lo storico Coalvi (razza piemontese).

«Siamo operativi dal 2019 e in mezzo c’è stato un anno difficile come il 2020 – dice il managing director Giuliano Marchesin –. Dobbiamo ancora crescere, ma intanto i risultati ottenuti nei supermercati Il Gigante sono buoni». La “potenza di fuoco” non è indifferente, anche se la penetrazione in un mercato strutturato come quello della Gdo non è facile: «Circa 600mila capi macellati ogni anno in Italia – continua Marchesin – provengono da allevamenti Sqnz per un valore che si può stimare in un miliardo, sui 6 del settore». Anche se il “secondo pilastro” di Sigillo Italiano prevede l’aumento di vacche nutrici e ristalli nazionali, i capi possono provenire dall’estero, ma devono essere ingrassati in Italia per almeno 6 mesi.

Ancora differente è il caso della carne Igp – una nicchia che secondo Ismea vale al consumo 130 milioni – i cui disciplinari prevedono limiti territoriali ben precisi, anche sulla nascita dei bovini. Nonostante i ristoranti e le mense rappresentino oltre il 40% del mercato della carni Igp del Vitellone Bianco dell’Appennino Centrale (Chianina, Marchigiana e Romagnola), il 2020 è stato superato senza troppi traumi grazie ai supermercati. «Se qualche anno fa eravamo presenti in pochi punti vendita – spiega il presidente del Consorzio Stefano Mengoli – ora grazie alle nuove tecnologie di lavorazione e confezionamento, con tempi di conservazione più lunghi e la possibilità di vendere anche piccole quantità, siamo presenti in modo più capillare nei punti vendita. Molti margini sono assorbiti proprio dai processi di trasformazione, ma negli ultimi dieci anni la carne Igp ha potuto beneficiare di un aumento dei prezzi del 10-15%, mentre il resto del settore era fermo. Ora però abbiamo il problema dei costi che aumentano in modo molto rapido».

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