gli effetti del covid-19 sugli immobili

La casa mette in crisi il coworking: spazi e servizi da ripensare

Ampliare gli spazi, rivolgersi alle imprese e non solo alle partite Iva. L’isolamento forzato mette in crisi gli spazi pensati per riunire i professionisti (che non riescono a pagare l’affitto). In Danimarca (a differenza dell’Italia) il coworking gode di sconti fiscali e aiuti come ristoranti e negozi.

di Maria Chiara Voci

(Adobe Stock)

5' di lettura

Ampliare il target e rivolgersi alle imprese che – terminata l’emergenza Covid-19 e per necessità, scelta o nuove condizioni di mercato – decideranno di sposare un modello più lean, concentrando l’attenzione sul core business e delegando in outsourcing l’infrastruttura. Insieme, un ripensamento dell’offerta: dallo spazio di lavoro fino a una moltiplicazione di servizi anche inerenti il welfare, l’assistenza assicurativa o la formazione individuale.
Tutto orientato a supportare veri lavoratori “smart”: operativi non solo da casa, ma in qualsiasi contesto si trovino, a seconda delle necessità o delle ore della giornata. Senza perdere però un luogo di riferimento o l’appartenenza a una community.

La sfida è quella delle società che erogano servizi di coworking. Realtà relativamente giovani in Italia, spesso nate da esigenze di condivisione dei costi di un ufficio, via via cresciuto, con l’arrivo di player strutturati nell'offrire spazi attrezzati, belli, comodi, dotati di infrastruttura, sale riunioni e punti di ristoro. Luoghi di approdo per liberi professionisti e partite Iva, ma anche per un numero crescente di start-up innovative e di imprese, che hanno capito il valore di “fare network” per crescere.

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La bufera del Covid-19 ha investito anche questo segmento industriale
Come in tutti i settori dell’economia, anche per le società che offrono servizi di co-working e smart-working il contraccolpo c’è, nell’immediato. Pur tenendo conto che non tutte le strutture sono chiuse (specie quelle che accolgono imprese fondamentali per garantire i servizi di base al Paese). Di certo, tutti stimano perdite più o meno consistenti, dovute alle presunte difficoltà che potranno toccare professionisti e pmi. Non a caso, in altri Paesi – fra tutti l’esempio è la Danimarca – i coworking sono stati inclusi dallo Stato fra le attività che possono fruire di un dimezzamento del canone di affitto degli immobili, da detrarre dalle tasse, a fronte di una comprovata riduzione del giro di affari del 30%. In Italia accade per negozi e ristoranti. Un sostegno che sarebbe importante da parte dell’Italia, per consentire a tutti (non solo alle strutture più grandi) di ribaltare formule di sconto sui propri coworkers. E non perdere valore.

Crescita trainata dalle imprese che scommettono su formule lean
Se l’orizzonte breve preoccupa, l’attitudine è però quella di guardare oltre. «Il periodo che stiamo vivendo cambierà per tutti le regole – riflette Davide Dattoli, fondatore di Talent Garden, che oggi conta 26 campus in otto Paesi d’Europa, con oltre 4.500 imprese ospitate oltre a scuole di formazione e digitali –. Certo, abbiamo dovuto rimandare l’apertura di tre nuove sedi fra Italia ed estero e probabilmente cambierà la composizione della nostra community. Il vero punto focale, però, è capire che quando tutto si rimetterà in moto, il contesto sarà mutato nel profondo. La crisi economica potrebbe spingere più società verso l’idea di inserire la propria sede in uno spazio flessibile. L’ufficio fisico si dematerializzerà evolvendo verso quella che è la vera essenza dello smart working. Per questo scommettiamo sulla crescita».

Una valutazione analoga anche in Copernico, 12 sedi in Italia più una a Bruxelles per un totale di 80mila mq di spazi e una community di oltre 6mila professionisti, fra freelance, startup e aziende. Cinque nuovi spazi pronti, la cui inaugurazione è ovviamente rimandata. «Quando abbiamo aperto la nostra prima sede – racconta Pietro Martani, fondatore di Copernico e Halldis – eravamo in piena crisi economica. Eppure la nostra formula si è rivelata un successo e i nostri spazi, più che di piccoli professionisti, sono popolati da imprese che hanno capito il vantaggio di creare da noi la propria sede, con la possibilità di avere metri quadrati anche da iperpersonalizzati, ma in un contesto molto più ampio». Se la casa sarà uno dei nuovi luoghi per svolgere attività lavorativa, «per crescere ci sarà sempre bisogno di lavorare insieme anche fisicamente, di incontrarsi, di fare rete per innescare processi produttivi. Al contempo, occorrerà prendere atto che la vecchia impostazione piramidale, fondata sul controllo delle persone, oggi deve cedere il passo a nuovi meccanismi di leadership, capaci di mettere al centro la persona e di responsabilizzarla verso un obiettivo, anche quando si lavora delocalizzati. Il nuovo worker è potenzialmente un soggetto che inizia la mattina due ore da casa, si sposta a una riunione, cerca uno spazio tranquilla in cui proseguire qualche ora in modo individuale, e poi magari torna ancora a casa per concludere la giornata operativa. Anche per questo, le nostre sedi sono palazzi sempre molto ampi, pensate per professionalità che abbiamo definito “peripatetiche”, che si spostano anche all’interno».

Per i coworking più piccoli, l’obiettivo sarà fare network
Ma cosa succederà ai coworking meno strutturati, che si rivolgono prioritariamente a liberi professionisti con partita Iva? Innovativa è l’esperienza di Ultraspazio nel quartiere San Paolo a Torino, fondato da un gruppo di architetti e in crescita (fra gli uffici aperti, uno a Shangai e uno a Beirut mentre sotto la Mole gestiscono ad esempio le sale riunioni dell'hotel Golden Palace). «L’idea l’abbiamo sviluppata in tempi non sospetti e ben prima del coronavirus — racconta l’amministratore unico, Ezio Gaude –. Esaminando il caso di parecchie realtà estere simili alla nostra, ci siamo resi conto che tutti offrivano servizi, ma nessuno al di fuori dei propri confini fisici. Da qui, anche per la nostra attitudine a ragionare come progettisti, ci siamo chiesti perché non provare a mettere in rete diverse realtà del quartiere e della città ed è nato il progetto Ultra District Living Lab. Così da permettere a chi si aggrega, di uscire dall’edificio fisico e trovare all’occorrenza un appoggio in altri luoghi simili della città, a seconda delle esigenze di giornata. E se il Covid-19 sta insegnando alle persone che smart working si può fare da casa, perché non ipotizzare di inserire in questa rete anche saloni, tavernette o giardini privati?».

Per tutti, sarà necessario ripensare ai servizi erogati
Certo quanto è accaduto richiederà un profondo ripensamento dei servizi. Ad esempio, per l’adeguamento delle strutture, che magari verranno maggiormente normate sotto l’aspetto igienico-sanitario. Inoltre, occorrerà immaginare e intercettare esigenze. «Da pochi giorni – racconta Dattoli – abbiamo lanciato la piattaforma Antea, che vuole aiutare le imprese ad attivare smart working, dando anche consigli su come attrezzare lo spazio in casa o come aumentare la produttività fuori dal proprio contento. Con veri e propri moduli di formazione e lezioni a distanza di coach professionisti». Non solo. «La base per Copernico – prosegue Martani – è sempre stata quella di offrire ambienti sicuri, belli, luminosi e arredati con verde. In più, abbiamo integrato un servizio di ristorazione, che anche in queste settimane difficili e per le imprese che hanno necessità di lavorare, cerca di garantire a tutti la possibilità di ordinare un pasto. Infine, accanto a segreteria, infrastruttura tecnologica, sicurezza informatica, connessione stabili, possibilità di organizzare webinar, da qualche tempo ci stiamo muovendo in una logica di gruppo di acquisto nel campo assicurativo, del welfare o della mobilità e dei viaggi. Rappresentiamo 800 aziende e crediamo sia possibile far valere il potere del network». Tenendo bene a mente che, la parola d’ordine, per tutti è fare rete: soli non si cresce, insieme si innescano processi di evoluzione, di innovazione e di sviluppo per il futuro.

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