La Champions è del City ma l’Inter esce a testa alta. Troppi errori in attacco
Il grande sogno dei nerazzurri è svanito, ma la partita è stata molto più equilibrata di quanto ci si potesse aspettare alla vigilia
di Dario Ceccarelli
4' di lettura
Spiace dirlo. Ma Il sogno, il grande sogno dell'Inter, è svanito proprio quando stava per riafferrarlo. Quando, ormai in svantaggio per il gol di Rodri (69'), i ragazzi di Inzaghi hanno finalmente capito che questo City non era l'Orco imbattibile che si era temuto. No, questo City, per quanto straordinario, questa volta, in questa finale di Champions allo stadio Ataturk di Istanbul, era meno gigante del solito. Meno veloce. Meno cattivo. Una controfigura del City che conosciamo.
Solo che all'Inter, di solito implacabile in attacco, è mancata la freddezza e la precisione dei suoi bomber più spietati, a partire proprio da Lautaro, che già nel primo tempo aveva buttato via una occasione clamorosa nata da uno dei tanti svarioni difensivi del City, stranamente distratto e presuntuoso quando messo sotto pressione.
Il sogno dell'Inter è svanito quando, due minuti dopo la velenosa stoccata di Rodri, Dimarco si è visto rimbalzare dalla traversa il suo (quasi) perfetto colpo di testa sul cui sviluppo poi goffamente pasticciava Lukaku. Una serata stregata, quella del belga, di quelle che ogni tanto gli capitano quando le cose girano storte. Malasorte? Ansia di prestazione? Chissà: forse entrambe le cose.
Non si può altrimenti spiegare come, a pochi secondi dalla fine, Lukaku abbia potuto fallire la bella sponda di Gosens. A pochi passi dalla porta, il belga ha schiacciato di testa centralmente e senza forza. Un regalo non previsto che il portiere del City, Emerson, ha subito neutralizzato ringraziando la generosità di Big Rom.
A testa alta, ma quanti sprechi
Certamente l'Inter esce a testa alta da questa sfida, però un simile spreco, in una finale così avara di conclusioni, lascia l'amaro in bocca. La squadra di Inzaghi, quasi perfetta nell'imbrigliare l'azione degli inglesi, è invece mancata nella prima linea, l’arma più feroce negli ultimi due mesi. Male Lautaro, nervoso e poco incisivo. Male Lukaku, sopra le righe. Il suo ingresso, al posto di Dzeko, ha forse portato maggior “peso”, ma anche tanta confusione.
«I ragazzi sono stati grandiosi, abbiamo tutte le possibilità di tornare in finale di Champions», ha detto Inzaghi per sollevare il morale a un gruppo straordinario che, a due passi dal traguardo, si è visto svanire il sogno a cui ormai tutti, dopo il primo tempo deludente del City, avevano cominciato a credere. Bravissimo Dimarco, sempre pericoloso con i suoi cross. Ottimo anche Brozovic, una diga a centrocampo.
E così il Manchester City vince la prima Champions della sua storia. E Guardiola, perfezionando il Triplete (Premier, Coppa d'Inghilterra e Champions) riesce finalmente a cancellare quell'ossessione che da anni lo perseguitava. Aveva vinto tutto, ma al City mancava la Champions, già persa malamente col Chelsea nel 2021.Il Treble è un tris di vittorie che riporta alla memoria il Triplete interista del 2010 ottenuto con Mourinho in panchina.
Dal Triplete al Treble
E qui si aprirebbe tutto un discorso su quanto abbia pesato, alla vigilia, il ricordo di quella memorabile cavalcata. Nel bene e nel male. Forse a questa Inter, arrivata in finale dopo uno straordinario cammino, è mancata quella consapevolezza che viene dall'abitudine a giocare ai vertici.
Nel City, che pure non ha brillato, va invece riconosciuta la capacità di chiudere la partita alla prima vera occasione. Quella capitata a Rodri, a metà della ripresa, a conclusione di una bella verticalizzazione, che il centrocampista spagnolo, un pupillo di Guardiola, ha completato con un destro chirurgico imparabile per Onana.
C'è rammarico da parte interista. Ed è naturale visto che il City, almeno in questa sfida, non è sembrata la squadra di marziani che aveva invece demolito il Real Madrid. Le sue arme migliori - pressing, possesso di palla e verticalizzazioni improvvise - si sono viste molto raramente. Vero che dopo mezz'ora De Bruyne, il campione più atteso insieme ad Holland, è dovuto uscire per un infortunio ai flessori. Però va detto che il belga è stato rilevato al meglio da Foden, un grande talento che Guardiola può permettersi di tenere in panchina.
A proposito del City, ancora una volta a secco il temuto Holland, ben marcato da Acerbi. Poco servito, e ben ingabbiato dalla difesa nerazzurra, il vichingo dal sorriso bionico non è mai stato al centro della scena. Ha avuto solo un'occasione, l'unica nel primo tempo del City, conclusa senza troppa convinzione. Che dire? Holland ha solo 22 anni. In questa stagione ha realizzato 52 gol in 52 partite. Forse è arrivato un po' spremuto, avrà tempo per rifarsi.
Sconfitta, ma non ridimensionata
L'Inter esce sconfitta, ma non ridimensionata. E questo è un dato di fatto. «Abbiamo dimostrato di non essere inferiori a nessuno, ora vanno tenuti i giocatori più forti», ha detto il presidente Zhang con un certo ottimismo che va suffragato dai fatti. È un capitolo delicato, questo, perché l'Inter, come molte altre squadre italiane, non ha una situazione economica floridissima.
Si sa per esempio che la proprietà intende rifinanziare il prestito di Oaktree (375 milioni nel 2024) ma a tassi superiori a quelli attuali. Insomma, grandi annunci e bilanci solidi non sempre vanno d'accordo.
Quanto a Inzaghi, specialista di finali, questa volta deve accontentarsi del bicchiere mezzo vuoto. Se ne farà una ragione. Di rivincite negli ultime mesi ne ha avute molte, dalla Coppa Italia alla Supercoppa. E comunque si può consolare: solo due mesi fa, dopo la sconfitta col Monza del 15 aprile, stava rischiando la panchina. Ora è uno degli allenatori più stimati. Dall'abisso alla celebrazione il passo è davvero breve.
Ultima considerazione: il calcio italiano, pur battuto nelle tre finali europee, esce a testa alta. Inter, Fiorentina e Roma hanno perso con dignità e solo per un gol di scarto. Se un anno fa ci avessero detto che tre squadre italiane sarebbero arrivate in finale ci avrebbero preso per matti.
loading...