La Consulta sblocca il processo Regeni
Dichiarato illegittimo l’articolo del codice di procedura penale, nella parte in cui non prevede che «il giudice procede in assenza per i delitti commessi mediante gli atti di tortura quando, a causa della mancata assistenza dello Stato di appartenenza dell’imputato, è impossibile avere la prova che quest’ultimo sia stato messo a conoscenza della pendenza del processo»
di Patrizia Maciocchi
I punti chiave
3' di lettura
Il processo per l’omicidio di Giulio Regeni, in cui sono imputati Tariq Sabir, Athar Kamel Mohamed Ibrahim, Uhsam Helmi, Magdi Ibrahim Abedal Sharif, tutti appartenenti ai servizi segreti egiziani, potrà andare avanti. È l’effetto della decisione della Consulta che ha esaminato la questione di legittimità costituzionale sollevata dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Roma in relazione alla celebrazione del processo per il sequestro e l’omicidio di Giulio Regeni e ha dichiarato illegittimo l’articolo 420-bis, comma 3, del codice di procedura penale, nella parte in cui non prevede che il giudice procede in assenza per i delitti commessi mediante gli atti di tortura quando, a causa della mancata assistenza dello Stato di appartenenza dell’imputato, è impossibile avere la prova che quest’ultimo, pur consapevole del procedimento, sia stato messo a conoscenza della pendenza del processo.
Illegittimità costituzionale
La sentenza sarà depositata nelle prossime settimane. In attesa, l’Ufficio comunicazione e stampa della Consulta fa sapere con una nota che «la Corte ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’articolo 420-bis, comma 3, del codice di procedura penale, nella parte in cui non prevede che il giudice procede in assenza per i delitti commessi mediante gli atti di tortura definiti dall’articolo 1, comma 1, della Convenzione di New York contro la tortura, quando, a causa della mancata assistenza dello Stato di appartenenza dell’imputato, è impossibile avere la prova che quest’ultimo, pur consapevole del procedimento, sia stato messo a conoscenza della pendenza del processo, fatto salvo il diritto dell’imputato stesso a un nuovo processo in presenza per il riesame del merito della causa».
Ora gli imputati dovranno rispondere dei reati di omicidio, sequestro di persona pluriaggravato e concorso in lesioni personali gravissime, pur non essendo presenti in aula e verranno dichiarati “contumaci” dal Gip e dal collegio nelle fasi successive. Il ricercatore dell’Università di Cambridge, rapito a il Cairo il 25 gennaio 2016, venne ritrovato morto il 3 febbraio 2016 vicino al carcere dei servizi segreti egiziani sulla strada per Alessandria. Sul corpo segni di tortura.
L’ordinanza di rinvio
A chiamare in causa il giudice delle leggi era stato il gup di Roma che, il 31 maggio scorso, aveva inviato gli atti alla Consulta, accogliendo la richiesta del procuratore capo Francesco Lo Voi e dell’aggiunto Sergio Colaiocco. Un passo finalizzato a sbloccare lo stallo in cui versa il procedimento a causa della norma - bocciata ora dalla Corte costituzionale - che impedisce di aprire il dibattimento se l’accusato non ha ricevuto la notifica formale. Le autorità egiziane infatti si sono sempre rifiutate di fornire alla magistratura italiana gli indirizzi dei quattro agenti dei servizi si sicurezza che secondo gli inquirenti avrebbero rapito e torturato fino alla morte il giovane ricercatore friulano.
Gli imputati
Imputati sono quattro 007 egiziani: il generale Sabir Tariq, i colonnelli Usham Helmi e Athar Kamel Mohamed Ibrahim, e Magdi Ibrahim Abdelal Sharif, accusati a vario titolo di sequestro di persona pluriaggravato, lesioni aggravate e concorso in omicidio aggravato. La procura di Roma aveva sollevato la questione di costituzionalità della norma - finita all’attenzione della Consulta - per la parte in cui prevede che l’assenza di conoscenza del processo da parte dell’imputato derivi dalla mancata attivazione della cooperazione dello Stato estero. Il Gup aveva ritenuto la questione la questione sull’assenza degli imputati «rilevante e non costituzionalmente infondata».
Dubbi che erano stati trasferiti nell’ordinanza con la quale si era deciso di inviare gli atti alla Consulta. «La scelta delle Autorità egiziane di sottrarre i propri cittadini alla Giurisdizione italiana e all’accertamento delle responsabilità, è una scelta anti-democratica, autoritaria che di fatto crea in Italia, Paese che si ispira ai principi democratici e di eguaglianza, una disparità di trattamento rispetto ai cittadini italiani e ai cittadini stranieri di altri Paesi, che in casi analoghi verrebbero processati».
La soddisfazione del procuratore capo
Ora dal giudice delle leggi arriva la risposta che i giudici italiani attendevano. Ed è proprio il procuratore capo Lo Voi, ad esprimere per primo a gioire per la decisione della Corte costituzionale. «Grande soddisfazione sicuramente per la possibilità di celebrare un processo secondo le nostre norme costituzionali che restano il faro del nostro lavoro. Per il resto - ha detto Lo Voi - aspettiamo le motivazioni per vedere come procedere sperando di trovare la parte civile al nostro fianco nelle fasi successive».
Per la famiglia Regeni, la Consulta ha fatto venire meno un «ripugnante no al processo». Un argine alla giustizia che impediva di giudicare le persone accusate di aver torturato e ucciso Giulio Regeni.
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