La contabilità ambientale del vetro resta in attivo
Gli impegni che il Paese, le imprese e le economie mondiali stanno assumendo per realizzare concretamente una transizione ecologica, sostenere e attuare una economia circolare e migliorare (
di Gianni Scotti **
4' di lettura
Gli impegni che il Paese, le imprese e le economie mondiali stanno assumendo per realizzare concretamente una transizione ecologica, sostenere e attuare una economia circolare e migliorare (o almeno non peggiorare) lo stato di salute dell'ambiente sono spesso oggetto- e a tutta ragione- di approfondimento da parte dei mezzi di informazione. Si tratta di scelte, individuali o collettive, private o pubbliche, complesse. I trend positivi spesso poi si interrompono bruscamente per l'intervento di fattori esogeni o endogeni. Valutare i rischi e agire di conseguenza è indispensabile.
Per capire scelte e tendenze e valutarne i reali effetti, spesso, non è sufficiente una conoscenza superficiale di dinamiche, numeri e propositi. La complessità che si cela dietro ad esse infatti impone una riflessione più approfondita. Per fare un esempio, il Coreve ha recentemente reso pubblici i dati sul riciclo del vetro in Italia. Il Paese si conferma per il 4° anno consecutivo al di sopra del target UE fissato al 2030 (75%) passando da un tasso di riciclo del 76,6% nel 2021 all'80,8% nel 2022. Si registra dunque un significativo balzo in avanti del riciclo del vetro nel nostro Paese che registra un +4,2% rispetto al 2021.
Quella che abbiamo definito la contabilità ambientale del riciclo del vetro è senza dubbio in attivo. Riciclare di più e meglio ha determinato un risparmio di 4,2 milioni di tonnellate di materie prime, pari a circa 2 volte il volume del Colosseo. Ciò determina un risparmio economico tra il 20 e il 30% ed inoltre, il ricorso al riciclo permette di risparmiare per la produzione di vetro il 25% dell'energia fornita oggi dal gas naturale, con un risparmio di almeno 360 kg di Co2 per tonnellata di prodotto. Grazie agli ottimi risultati di riciclo nell'ultimo anno, è stata quindi evitata l'immissione in atmosfera di 2,5 milioni di tonnellate di gas a effetto serra, pari a quelli derivanti dalla circolazione di circa 1,6 milioni di autovetture euro 5 di piccola cilindrata, con una percorrenza media di 15mila km. Dal rottame che le vetrerie hanno complessivamente riciclato derivano inoltre risparmi di energia per oltre 436 milioni di metri cubi di gas, equivalenti ai consumi domestici annuali di oltre 580 mila famiglie italiane o di una città da oltre 1,6 mln di abitanti.
Tuttavia, dietro questo trend positivo si nasconde un fantasma che rischia di vanificare gli sforzi fatti negli ultimi anni e, quel che è peggio, rappresentare un serio problema ambientale per il Paese e non solo.
Assistiamo infatti, a causa di comportamenti speculativi che stanno prendendo forma sui mercati internazionali, all'abnorme crescita dei prezzi del rottame di vetro che sta spingendo gli operatori economici a consumare più materia prima vergine riducendo la materia prima seconda (risultato del trattamento del rottame di vetro) utilizzata per la produzione di imballaggi di vetro. Va ricordato che il vetro è l'imballaggio d'elezione dei prodotti del food italiano di qualità, esportato in tutto il mondo. La richiesta quindi di bottiglie e vasetti da parte delle imprese dell'agroalimentare italiano è in continua crescita.
I numeri possono aiutare a capire: Il rottame di vetro frutto del riciclo è passato da un valore oscillante tra i 15 e 30 euro del 2019 a offerte di oltre 230 euro a tonnellata registrate nelle ultime aste, rendendo più economico per le vetrerie l'utilizzo di materie prime vergini. Più economico appunto, non più ecologico.
Il risultato è una pericolosa inversione del trend: le vetrerie italiane che fino a qualche mese fa utilizzavano fino al 95% di materia prima seconda per produrre in modo sostenibile nuovi imballaggi di vetro, vengono spinte dai costi minori delle materie prime vergini a consumare più soda, silicio, carbonati. Ma non solo. Fondere materie prime vergini costa più energia e immette nell'ambiente più Co2 determinando un significativo passo indietro dal punto di vista della sostenibilità ambientale di questo importante comparto industriale.
E ancora: il vetro non più riciclato finisce in discarica e per essere smaltito produce dei costi. Fino a 18 milioni di euro ogni 100 mila tonnellate. La domanda, anche quella complessa che bisogna farsi ora è dunque: è giusto lasciare che il mercato si regoli da solo anche se questo determina un rischio ambientale elevato per il Paese o sarebbe meglio intervenire per regolamentare meglio la questione, arginando i fenomeni speculativi e consentendo al Paese di non arretrare sul fronte dell'economia circolare del vetro?
Il sistema consortile, di cui fa parte il CoReVe, istituito nel 1997 garantisce il ritiro e l'avvio a riciclo dei rifiuti d'imballaggio in vetro provenienti dalla raccolta differenziata nazionale, mettendo assieme 23 produttori di vetro cavo, 35 Importatori commerciali, 41 importatori industriali, 7 recuperatori e stipulando convenzioni con i Comuni italiani. Si tratta di un sistema che ha mostrato di essere efficiente, sussidiario a mercato e che ha permesso con il lavoro di tutti di raggiungere gli ottimi risultati di riciclo illustrati. Forse però – anche in ragione delle nuove dinamiche - ha bisogno, per rispondere alle mutate esigenze, ai nuovi trend e ai loro fantasmi di alcune modifiche legislative per assicurare il benessere collettivo.
** Presidente Coreve
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