La coscienza collettiva dentro la pandemia
Cercando di capire cosa ci sta accadendo. Potrebbe aprirsi una faglia di carenza di serotonina collettiva la cui portata è, diciamo, incalcolabile. Quindi anche le conseguenze stanno alla lungimirante capacità visionaria dei Philip Dick e Margareth Atwood del futuro, una sola cosa è certa: l’incertezza
di Anna Segre
4' di lettura
La realtà non esiste, esiste la percezione della realtà. Ma come si costruisce, questa percezione? Con la narrazione, con le rappresentazioni, con gli scambi che confermano una percezione comune, con i miti metropolitani, con i meme, con i telegiornali, con le discussioni in famiglia. Si decide, tutti insieme nello stesso momento, che si è in grave pericolo, ci si convince reciprocamente a un comportamento condiviso di cautela. Una cautela, nel nostro caso, non definitiva, cioè una cautela che non garantisce la salvezza, ma almeno non si sporge sul baratro ipotizzato.
Collettivamente si coltiva l’idea di baratro e questo baratro narrato è come ci fosse, esiste perché pensato da tutti. Non sto dicendo che non c’è. Sto dicendo come funziona la nostra mente. Non possiamo sfuggire ai nostri meccanismi, come non sfuggiremmo al martelletto sul ginocchio, però ce ne accorgiamo con quel secondo di ritardo, mentre avvengono, o dopo addirittura.
La prima ondata era percepita come una strana avventurosa fatalità, ci siamo addentrati coraggiosamente, impavidi sull’isolamento, che, ci siamo raccontati, sarebbe stato temporaneo, se fossimo stati compatti nel comportamento ‘giusto’, ne saremmo usciti anche più forti e solidali di prima. Ogni arteria interpersonale è stata chiusa, le amicizie, i colleghi, incontri casuali. Ogni drenaggio sociale è stato interrotto, eventi, manifestazioni, locali, chiese, stazioni, aeroporti, musei.
Onde tenere la coscienza collettiva sedata, soprattutto lo sviluppo culturale, lo scambio, le rappresentazioni teatrali, i cinema, dove comunque si sarebbe potuto organizzare le distanze tramite l’assegnazione di posti precisi, è stato frenato oltre ogni apparente ragionevolezza. Sedare, intorpidire, rallentare i riflessi. Forse più per reggere, per tollerare più a lungo, che per instaurare regimi totalitari. D’altronde, quale totalitarismo potrebbe battere un assedio dall’interno dell’individuo stesso, una paura autoimmune che da sola inceppi, blocchi la fluidità del pensiero, del corpo, del movimento, della possibilità di azione, di iniziativa, una sola idea gangliare che irradi stop a ogni singolo sistema, stop ad ogni modello operativo interno montato sulla persona?
È una nuova angolazione, per il concetto di dittatura, una nuova frontiera della limitazione, persecuzione, coercizione: dall’interno. Nessuna libertà personale è stata conservata, nemmeno tra le ipotesi. Sei vivo, puoi stare nella tua casa, meglio se solo. Ringrazia di avere l’acqua corrente e il cibo. Ubbidisci. E sarai temporaneamente salvo.
Non sappiamo come funziona, come infetta, come curarlo, non sappiamo se il vaccino ha senso, non sappiamo se l’immunità acquisita dall’averlo avuto sia permanente, anzi, pensiamo di no, non sappiamo come arginarlo, non possiamo fare previsioni sui tempi. Intanto: ubbidisci. Chiusi in questo bondage socio-somato-affettivo, ogni senso si acuisce, come dicevo, non si sfugge ai meccanismi della mente. Sì, si acuiscono i sentimenti che non hanno sbocco nell’impossibilità di incontro, si acuisce lo struggimento per la vita, per la bellezza, per il bene. Questo è il meccanismo del bondage: bloccare i movimenti per acuire gli altri sensi.
Ognuno (una maggioranza schiacciante, nella quale mi metto anch’io) mi ha confidato, spesso con le lacrime agli occhi, la bellezza di questo natale. Giorni belli. Nei quali essere sani, vivi, al caldo, e a volte, nemmeno sempre, vicini a un paio di persone care, è stata una coscienza di gioia pura.
Come in altri rutilanti e più liberi natali non si riusciva a percepire, potendo uscire, incontrare altri, avendo millemila possibilità di link col mondo, con l’arte, con tutti gli amici cui dare un bacio. Niente baci, adesso. E quindi, ecco il meccanismo mediato da neurotrasmettitori di cui non conosciamo che una piccola parte, un desiderio soffocante di baci e un sovvertimento dei valori nella borsa degli affetti. Non è come nel 2019, baci inflazionati e sesso a portata di mano. No, oggi il contatto è un bene preziosissimo e un male insidioso al contempo. La mente potrebbe andare in impasse.
Ma la mente è come uno scarafaggio, di fronte a un pericolo corre, scarta, sguscia. Di fronte a un muro crea pertugi inesistenti, di fronte a un bivio impossibile crea una terza inaspettata direzione, ma mai, sottolineo mai, la mente rimane troppo tempo in impasse, così come uno scarafaggio è molto difficile da prendere.
Anche se le soluzioni che prospetta sono deliri, nevrosi, anche se le soluzioni sono peggio dei problemi o ne creano di nuovi, la mente non rimane immobile in un dilemma, perché la sofferenza stessa per il dilemma è un movimento che sposta dal dilemma stesso. E, quando l’intelligenza dichiara che non ci sono mosse, si instaura la depressione grave, una sorta di cocktail di rabbia impotenza frustrazione disperazione tristezza senso di colpa e vergogna che come sintomo ha l’abolizione apparente della volontà. In realtà è una distruzione a tarlo dell’interno dell’anima.
Ecco: potrebbe aprirsi una faglia di carenza di serotonina collettiva la cui portata è, diciamo, incalcolabile. Quindi anche le conseguenze stanno alla lungimirante capacità visionaria dei Philip Dick e Margareth Atwood del futuro, una sola cosa è certa: l’incertezza.
La coscienza collettiva si sta svegliando. Le ricchezze che finora significavano, sbiadiscono di senso, come i diamanti ad Auschwitz, come un frigorifero su un’isola deserta. Che te ne fai, di tutte queste scarpe, di tutte queste borse?
Gli oggetti si ridimensionano sul bordo di una morte annunciata, tambureggiata, continuamente descritta nei più turpi particolari.
Morirai, soffocherai, sarai un pericolo per gli altri, sarai isolato, creperai solo, per mancanza di fiato, accorgendoti del terrore, di ogni millimetro di morte che entra, senza nessun conforto.
Ognuno coltiva quotidianamente questo memento tramite i telegiornali e le fantasie condominiali ormai instauratesi stabilmente. Se prima era per gestire un comportamento allineato, ora è coscienza e va gestita per ciò che produce a livello chimico sia nei singoli individui sia nelle relazioni. Ora ogni giorno è in più, regalato, e non accede a prospettive, bensì a ulteriori rischi domani.
Quanto possiamo rimandare di dirci l’un l’altro lo sgomento? Perché questa complessità non può essere indagata e discettata senza giudicare l’interlocutore? Perché la mente si difende e, nell’impossibilità di prevedere, crea scenari, complotti, apocalissi, negazioni, rimozioni, scissioni e tutto quello che può difendere da emozioni devastanti come la paura o la sensazione di non avere controllo. E noi, quando siamo spaventati, attacchiamo, vogliamo un nemico. Nulla è sotto controllo, ma l'aggressività ce lo fa tenere fuori fuoco.
Come Will Coyote, abbiamo fatto tre passi nel vuoto pensando di stare ancora sulla terra, ma ora abbiamo capito che cadremo.
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