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In che modo e in quale misura gli eventi degli ultimi anni stanno modificando la relazione tra l’automobilista e la sua macchina? Lo shock parte a marzo 2020 quando il Covid forza a una presenza digitale: non è più necessario muoversi per esserci, non sempre. A seguire, le strozzature varie nelle catene logistiche e di produzione, con la carenza di microchip, di alluminio, di cablaggi. Il combinato disposto ha obbligato l’industria a rinunciare alla sua filosofia basata sui massimi volumi, rendendo gli sconti un ricordo e consentendo di alzare i prezzi in base ai costi, visto che proprio il suo contrario (ottimizzare i costi per praticare sconti) aveva portato alle strozzature di cui sopra. Insomma, dal mercato della domanda al mercato dell’offerta. Per il nostro automobilista, due messaggi chiari e forti. L’auto non serve più tutti i giorni alla stessa ora. Cambiarla con una nuova o anche usata costa molto più di prima. Poi ci s’è messo anche il contesto. La guerra e una bolletta energetica da incubo hanno riacceso l’inflazione, nuova per alcuni e dimenticata per altri, che potrebbe frenare quella ripresa dei consumi a cui gli italiani non paiono voler rinunciare, ma forse dovranno. Infine, le restrizioni urbanistiche alla libera circolazione, attuate a Milano ma all’orizzonte anche in altre città. Altri due messaggi. Più che cambiare la macchina, meglio prepararsi a una revisione delle spese familiari. Non ha tanto senso cambiarla, se comunque troveranno il modo di non farla usare.
Sono fenomeni diversi e niente autorizza a identificare un “partito anti-auto” quale anticamera del complottismo. Però bastano a marcare la mancanza di un “partito dell’auto” che dovrebbe affermare la sua validità come mezzo di trasporto e come settore industriale che produce ricchezza. Secondo una recente indagine Ipsos, gli italiani passano quattro ore a settimana a spostarsi in macchina, mentre l’Acea, l’associazione dei costruttori, riporta che il settore in Europa impiega 12,7 milioni di addetti, tra diretti e indiretti.
Lasciando ai futurologi immaginare quali modifiche alla relazione auto-automobilista possano portare questi messaggi, di uno si può dire perché già tangibile: la valutazione dell’età dell’auto. Dopo decenni spesi a narrare un’obsolescenza veloce del prodotto, inseguita con tutti i mezzi e tuttavia mai accolta appieno dagli italiani, adesso si va nella direzione opposta. 100.000 chilometri? Vedessi come va. Dieci anni? Eppure sembra nuova.
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