casi letterari. il romanzo «q» 20 anni dopo

La crociata degli scrittori anti-sistema

di Roberto Carnero

3' di lettura

Alla sua uscita - presso Einaudi, nel 1999 - rappresentò un autentico caso letterario, capace di smuovere le acque stagnanti delle patrie lettere. Parliamo del romanzo Q, della cui pubblicazione ricorre in questi giorni il ventesimo anniversario, che sarà prossimamente celebrato dall’arrivo in libreria di un’edizione speciale a tiratura limitata arricchita da un testo introduttivo intitolato Vent’anni dopo.

“Autore” era il collettivo bolognese Luther Blissett, composto da quattro scrittori (Roberto Bui, Giovanni Cattabriga, Luca Di Meo, Federico Guglielmi) - poi, con l’aggiunta di un altro membro (Riccardo Pedrini), si chiameranno Wu Ming (in mandarino “senza nome”), un’espressione spesso usata in Cina per siglare la pubblicistica dissidente - il cui intento, spiegavano, era quello di perseguire «radicalità di proposte e contenuti, slittamenti identitari, eteronimie e tattiche di comunicazione-guerriglia, il tutto applicato alla letteratura e, più in generale, finalizzato a raccontare storie».

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Il libro, ambientato nel XVI secolo, mescola felicemente gli ingredienti di diversi generi della tradizione narrativa: romanzo storico (la Riforma protestante e le sue conseguenze sociali: ribellioni, guerre, persecuzioni), racconto filosofico, romanzo d’avventura. Il protagonista (che prende vari nomi nel dipanarsi della vicenda) partecipa a gran parte delle vicende del suo tempo, mentre Q ne è l’anonimo antagonista, una spia al soldo della Chiesa cattolica che finisce sempre per impedire la realizzazione dei suoi piani.

Si tratta di un’esperienza particolare e senza dubbio originale, perché i cinque scrittori che facevano parte del gruppo (Luca Di Meo ne uscirà nel 2008) hanno deciso di rinunciare alla propria identità autoriale a vantaggio di un percorso creativo a più mani, scrivendo allo stesso modo, dopo Q, diversi altri romanzi, tra cui Asce di guerra (2000, insieme con Vitaliano Ravagli), 54 (2002), Manituana (2007), Altai (2009), L’armata dei sonnambuli (2014), Proletkult (2018).

Opere inserite dalla critica in una corrente che è stata denominata New Italian Epic (a partire dall’omonimo saggio firmato nel 2008 da Wu Ming 1, cioè Roberto Bui), vale a dire, detto forse più correttamente, un nuovo realismo che tende ad affrontare una narrazione della Storia (ma anche del nostro presente), all’insegna di un approccio metaforico, allegorico e transmediale, spesso volutamente discostandosi dalla realtà fattuale oggettivamente documentata.

Nel caso di Q, per esempio, il libro si potrebbe leggere come un’allegoria della fine delle grandi utopie politico-sociali sviluppatesi a cavallo tra Sessantotto e Settantasette in seguito al riflusso conservatore e neoliberista iniziato negli anni Ottanta (non a caso gli stessi autori l'hanno definito un «manuale di sopravvivenza»). In seguito gli scrittori accosteranno le lotte dei contadini del 1525 raccontate nel loro romanzo alle grandi proteste collettive come quella contro il G8 di Genova, lo zapatismo, le Tute Bianche e, più in generale, il movimento “no global”.

Nonostante il successo di questa e di alcune delle opere successive, gli autori del collettivo hanno sempre rifiutato il divismo del letterato tradizionale e si sono anche attivati per una battaglia contro il copyright (infatti i testi dei loro libri sono liberamente riproducibili, purché non a fini commerciali). Finalisti allo Strega nel 1999, non si presentarono alla serata della premiazione, dichiarando che «lo Strega è una buffonata, una delle tante istituzioni inutili di questo Paese» (preconizzarono, più di un mese prima, che il premio sarebbe andato a Dacia Maraini, ciò poi effettivamente accadde, mentre loro si qualificarono al quarto posto).

Insomma, un atteggiamento ancora più duro - si parva licet - di quello di un Bob Dylan che alcuni anni più tardi averebbe pensato bene di non recarsi a Stoccolma neanche per il Nobel. Una battaglia anti-sistema, quasi un grillismo ante litteram applicato al campo letterario. Ma è evidente che anche scelte di questo tipo, apparentemente antimediatiche, funzionano proprio, nel circuito mediatico, in virtù di una peculiarità che finisce per far parlare di sé. Creando, appunto, il “caso”, prima ancora e al di là della qualità letteraria di ciò che viene scritto.

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