La cultura in condivisione crea valore per tutti
di Alessia Maccaferri
4' di lettura
Lui è il produttore hip hop e cantante Gad Baruch Hinkis di origini israeliane. È salito sul palco di ArtLab e ha raccontato come la sua passione per la musica elettronica - una vera ossessione, dichiara nelle interviste - si sia trasformata in Jambl, una piattaforma, in cui gli utenti creano musica, aggiungono video, collaborano e condividono con gli amici in modo semplice attraverso lo smartphone. Jambl si candida a entrare in quella parte dell’industria musicale generata dagli utenti.
Che ha un elemento in comune con piattaforme di video o di arte: l’approccio collaborativo che grazie alla tecnologia stimola l’audience. Tra le startup che hanno fatto un pitch all’Investment Forum è quella più consumer insieme all’italiana Ofree, che produce videogames per le donazioni, sponsorizzati dalle aziende.
Le altre otto startup culturali e creative - che alla due giorni organizzata a Milano da Fondazione Fitzcarraldo hanno avuto l’occasione di incontrare potenziali investitori- sono intente invece a fornire servizi all’industria creativa stessa, alla promozione e alla tutela dei professionisti.
La tedesca Aiconix sfrutta l’intelligenza artificiale per l’ottimizzazione dei video così da facilitare le piccole e medie imprese legate ai media che vogliano gestire ed elaborare informazioni audiovisive relative ai contenuti. La britannica Cultura Hint, attraverso la visione artificiale, monitora i visitatori riuscendo quindi a prevedere i flussi futuri dando ai musei la possibilità di organizzarsi al meglio in termini di personale e risorse. La belga Tinkerlist è nata per rispondere alle esigenze del settore dello spettacolo e televisivo dove imperano copia-e-incolla tra documenti non sincronizzati e tante scartoffie: una piattaforma online consente ai produtturi televisivi di collaborare nella creazione dei contenuti e nelle gestione dei flussi di lavoro. La piattaforma tedesca Book a street artist aiuta gli artisti stessi a pensare più come imprenditori e a crescere professionalmente in modo sostenibile senza dipendere da agenzie o agenti esterni.
Diverse startup nascono per risolvere la questione strategica dei diritti: la lussemburghese ANote Music consente agli investitori e ai fan della musica di investire in canzoni, fornendo finanziamenti ai creatori di musica: unendo blockchain a meccanismo di negoziazione e diritti musicali, crea una nuova classe di investimento alternativo. La belga Himeta collega direttamente i dati di proprietà degli artisti al file audio.
Le startup - selezionate da una giuria internazionale presieduta da Bernd Fesel (European Creative Business Network) - sono tutte ad alto profilo tecnologico. D’altra parte i tempi sono maturi per cui il settore diventi appetibile come una vera e propria industria. Con più di 12 milioni di addetti nella Unione Europa ( 2 volte e mezzo di più dell’automotive e 5 volte di più dell’industria chimica), l’industria culturale e creativa contribuisce per il 5,3% al valore aggiunto e per il 4% al prodotto interno lordo europeo.
«Dopo una fase durata a lungo in cui in Europa la cultura era il riferimento simbolico nella retorica e di fatto una nicchia nei programmi - spiega Ugo Bacchella, presidente di Fondazione Fitzcarraldo - finalmente la cultura è diventata un asset strategico e rientra a pieno titolo nelle politiche di sviluppo economico». I passaggi sono stati precisi: «Il punto di svolta è stato l’Anno europeo del patrimonio culturale - spiega Pier Luigi Sacco, docente allo Iulm di Milano e advisor Commissario Ue alla cultura - e quindi l’Agenda europea per la cultura. Dove di fatto la cultura viene valutata in relazione alla capacità documentata di generare impatti positivi su aree come la salute, la coesione sociale e il rapporto con l’innovazione aprendo così a tutto l’orizzonte delle startup innovative e della social innovation». Inoltre «Industria culturale e creativa» è uno dei quattro cluster tematici individuati per il nuovo piano dall’European Institute of Innovation and Technology e per la prima volta nell’aprile scorso la cultura ha fatto capolino dentro a Horizon Europe 2021-2027. Eppure nonostante il contesto favorevole e il proliferare di startup mancano ancora alcuni tasselli. Gli investitori sono attratti soprattutto dalle startup culturali che fanno leva sul digitale mentre complessivamente le banche non hanno le competenze per cogliere le specificità dell’industria creativa e culturale. In Italia la partita si gioca attorno all’introduzione del rating nel Fondo Centrale di garanzia che di fatto diventerà lo standard per il ruolo che il fondo stesso gioca nei confronti dell’intero settore bancario e finanziario. Il problema si pone non tanto per le realtà più tecnologiche e di servizio ma per quelle che sono focalizzate sui contenuti e la produzione culturale.
«Da un lato le banche non hanno l’esperienza adeguata per confrontarsi con imprese che hanno caratteristiche diverse rispetto allo standard - spiega Luca Celi, presidente di Cofidi, che agevola l’accesso al credito di queste imprese orientandole - Dall’altro le imprese culturali e creative fanno appello più all’impatto culturale e sociale generato che agli aspetti economici». In occasione di ArtLab, i rappresentanti delle maggiori istituzioni bancarie italiane si sono confrontati in un tavolo di lavoro per comprendere come le imprese possano autovalutarsi per migliorare e avvicinarsi il più possibile ai criteri del rating del Fondo di garanzia.
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