La «cultura dell’incontro» dei musei
di Nunzio Galantino
4' di lettura
Di tanto in tanto un po’ di attenzione viene riservata dai media alla vicenda dei nostri tesori d’arte. Qualche mese fa l’attenzione si accentrò sui grandi musei e sul pronunciamento del Tar del Lazio. Sotto la lente finì la nomina di direttori alla guida dei musei più rappresentativi della penisola. Sappiamo com’è andata e non sappiamo ancora come evolverà tutta la vicenda. Una tipica vicenda all’italiana. Per tanti motivi.
Non voglio girare alla larga da episodi ingombranti e imbarazzanti. Ma mi piace ricordare che, accanto ai grandi e straordinari nostri musei, vi sono realtà meno celebrate ma ugualmente meritevoli di attenzione: i musei diocesani e quelli legati a realtà locali. Se n’è interessato ultimamente la rivista Jesus (“Musei ecclesiastici. Patrimonio invisibile?”) e qualche mese fa fu convocato un convegno presso l’Università Gregoriana di Roma. Qui, tra l’altro, fu ricordato l’accordo di collaborazione (26 ottobre 2016) tra il ministero dei Beni e delle attività culturali e del turismo (Mibact) e l’Associazione musei ecclesiastici italiani (Amei). Un accordo orientato a creare dialogo e collaborazione e a promuovere, nel comune interesse, i musei quali risorse per le persone e a farne sempre di più degli strumenti efficaci per non morire soffocati in uno scenario culturale poco incline a saldare in un virtuoso intreccio la fedeltà al passato, l’attenzione responsabile al presente e una creativa proiezione verso il futuro. Certo, lo scenario culturale che ci troviamo ad abitare sembra orientare sempre più le sue energie e le sue preoccupazioni verso la mera produttività, intesa in senso quantitativo e misurabile. Una cultura che, quando diventa prevalente se non assoluta, lascia evidentemente poco spazio alle finalità proprie di associazioni come quella dei musei e, come nel nostro caso, dei musei ecclesiastici. In Italia le collezioni e le gallerie di proprietà della Chiesa sono oltre 800. Certo, non tutte dello stesso valore e non tutte dotate di una chiara progettualità. Tutte però testimoni di una storia che ha voluto e saputo dialogare col proprio tempo, anche se talvolta mostra evidenti i segni della fatica a continuare in questo dialogo con le nuove esigenze e con nuove e più efficaci modalità di comunicazione.
Mi piace vedere l’azione e l’impegno di quanti, come l’Amei, con risorse insufficienti si spendono per la valorizzazione del patrimonio museale, come argine alla tentazione sempre in agguato di relegare la “memoria” nell’ambito marginale della nostalgia, perché intesa (la “memoria”) come sospensione o come evasione dal realismo che impone la quotidianità. La cura di musei, gallerie e collezioni e la loro fruibilità contribuiscono, almeno in Italia, a entrare in contatto con quella corrente calda che nel corso del tempo ha animato uomini e donne, pastori e fedeli che si sono lasciati guidare dal Vangelo e dalla passione di testimoniarlo e trasmetterlo anche attraverso l’arte. E questo è accaduto e accade ancora nelle grandi e nelle piccole realtà. Immaginate che, per rimanere nell’ambito ecclesiastico, si contano ben 273 musei diocesani. L’aver voluto, alla fine del 2014, creare e favorire un sistema museale nazionale dice, da una parte, la consapevolezza di sentirsi parte di una comune nazione; dall’altra, sottolinea la specificità di un servizio e di una attenzione legati al patrimonio ecclesiale. Come ho già detto, le teche di questi musei custodiscono e trasmettono i tratti del volto di una Chiesa che, in Italia, guarda con attenzione e cammina con le persone e le popolazioni, le culture e le religioni ovunque esse si trovino. È, insieme, commovente ed edificante la creazione di musei anche in piccole comunità che non vogliono abbandonare le proprie radici e che con giustificato orgoglio le mostrano e le raccontano. Ritengo che in questa maniera – anche le piccole realtà museali – contribuiscano ad arginare la frenesia dell’effimero.
Proprio per questo i musei devono sempre di più essere luoghi nei quali si coltiva e si sviluppa la “cultura dell’incontro” che, come ricorda papa Francesco è prima di tutto incontro tra persone e gruppi portatori di valori, tradizioni, lingue, visioni religiose e stili di vita plurali. I musei offrono un contributo decisivo alla scoperta della identità; offrono un patrimonio con cui confrontarsi senza sentirsene ingabbiati ma da esso sospinti sempre oltre. «Solo una cultura viva, allo stesso tempo fedele alle proprie origini e in stato di creatività – ricordava Paul Ricoeur in “La questione del potere” – è capace di sopportare l’incontro con altre culture, e anche di dare un senso a quell’incontro». A questo contribuiscono i musei, anche quelli piccoli e presenti in realtà periferiche. Essi infatti non custodiscono soltanto delle “cose”, ma la storia di persone e la testimonianza di fede; il presente di un passato importante e fecondo, ma soprattutto il futuro di una comunità che ancora genera e crea, di una comunità che aiuta a riconoscere e sa esprimere - anche attraverso l’arte - i bisogni, la vita, ma soprattutto i sogni, gli ideali e la necessità di Dio.
Gli episodi che ricordavo in apertura confermano che ci possono essere tante difficoltà bisognose, oltre che di volontà politica, di passione e di competenza per essere affrontate.
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