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La cura più efficace per le città italiane? Demolire è meglio di costruire

Fosbury Architecture è il collettivo di architetti curatori del Padiglione Italia alla prossima Biennale Architettura e qui racconta come sanare un Paese dalle tante opere iniziate e mai finite.

di Alexis Paparo

Da sinistra, Alessandro Bonizzoni, Claudia Mainardi, Giacomo Ardesio, Veronica Caprino e Nicola Campri, – nati fra il 1987 e il 1989 – del collettivo Fosbury Architecture (ph. Simon Veres. Luca Campri).

2' di lettura

Sono i curatori del Padiglione Italia alla prossima Biennale Architettura. Il più vecchio ha 35 anni, ma tutti vantano esperienze importanti. Insieme, sono i Fosbury Architecture (F.A.), collettivo di progettazione e ricerca fondato nel 2013 a Milano da Giacomo Ardesio (1987), Alessandro Bonizzoni (1988), Nicola Campri (1989), Claudia Mainardi (1987) e Veronica Caprino (1988). Per loro parlano Alessandro e Giacomo: «La nostra generazione è figlia di una sequenza di circostanze gravi: 2001, l'inizio della crisi dell'Occidente; 2008, la peggiore recessione dopo quella del 1929; 2020, il fermo del mercato delle costruzioni dovuto alla pandemia; 2022, il culmine della crisi energetica e geopolitica. Un quadro preoccupante in una cornice ancora più allarmante: quella dell'emergenza ambientale. In questo contesto non potevamo far altro che confrontarci con il concetto di scarsità, e imparare a trasformarlo in un valore».

Fosbury Architecture (“Characters”, Vienna, 2022) (ph. Simon Veres. Luca Campri)

In architettura, dicono, non si guarda ancora abbastanza lontano. «Costruire non è l'unica opzione: a volte è meglio non fare nulla di diverso dal prendersi cura dell'esistente. Persino decidere di demolire può dare un nuovo significato al nostro lavoro». Fosbury Architecture collabora con il collettivo Alterazioni Video a Incompiuto, progetto di mappatura e geolocalizzazione delle opere iniziate e mai finite in Italia, malgrado le sovvenzioni dei fondi pubblici. «Sono più di 700: su quei poveri resti abbiamo costruito altrettante alternative, piani di rivitalizzazione dei luoghi, con l'ambizione di convertire lo spreco in potenzialità». È il concetto che ha guidato Fosbury Architecture nella progettazione del padiglione alla Biennale: i materiali sono stati scelti tra quelli disponibili e in attesa di una qualche utilizzazione.

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Fonte di ispirazione: i progettisti Anne Lacaton e Jean-Philippe Vassal, fondatori dello studio Lacaton & Vassal, vincitore del Pritzker, il premio più ambito in architettura, nel 2021. «Ci ha affascinato il ragionamento fatto su una piazza di Bordeaux. Passato il concorso per riprogettarla, il team si è confrontato con la popolazione. Che era già contenta della sistemazione del luogo: sarebbe bastata un po' di manutenzione. Quell'attitudine – saper riconoscere spazi che funzionino per forma e contenuti – per noi è stata rivoluzionaria. Si poteva vincere una gara di architettura parlando di buon senso».

Che cosa vedremo quindi dal 20 maggio, nel Padiglione Italia? «Nove progetti radicati nei contesti nei quali operano, che hanno dato vita a un network molto più esteso. Sono lavori che si parleranno, un fatto che vogliamo mettere in evidenza. Il filo rosso che li unisce è il rapporto fra programma e comunità, che è poi, crediamo, il fattore determinante per il successo dell'impresa. Tra questi c'è Post Disaster Rooftops, iniziativa di riuso dei tetti di Taranto come spazio pubblico di ritrovo e performance, oggetto di grande interesse a livello europeo. Questo per noi è un ottimo metodo di rigenerazione urbana, in un momento in cui il consumo di suolo in Italia cresce di 2,2 metri quadri al secondo e il 39 per cento della CO2 è prodotto proprio dalle costruzioni».

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