La democrazia 4.0: opportunità o rischio?
di Rossella Bocciarelli
2' di lettura
Come hanno fatto giganti tecnologici come Google, Amazon Apple e Facebook a penetrare nella nostra vita in modo così capillare, rendendo praticamente impossibile evitarli? E le tecnologie blockchain aprono davvero il mondo a una nuova era della condivisione o, attraverso le criptovalute, finirà con il prevalere un loro uso che nuoce alla salute dei risparmiatori? Non basta: il flusso gigantesco di informazioni garantito dai Big data può arrivare a condizionare anche il futuro delle istituzioni? E “la democrazia 4.0” è un'opportunità o un rischio?
Sono tutti interrogativi di grande attualità, enfatizzati anche dal fatto che un portato della diffusione di queste innovazioni, la disoccupazione tecnologica di cui parlava John Maynard Keynes nelle “Prospettive economiche per i nostri nipoti”, ha finito con il rendere più acute le diseguaglianze di reddito e di ricchezza nei paesi avanzati, oltre che in quelli in via di sviluppo.
Le implicazioni sul piano delle regole (antitrust, di privacy, fiscali) e su quello politico di queste caratteristiche del “mondo nuovo” sono l'oggetto di un numero della rivista Aspenia, presentato a Roma lunedi 14 maggio alle 18 dall'Aspen Institute e da Poste Italiane, con un dibattito tenuto, fra gli altri, dall'ex ministro dell'Economia Giulio Tremonti e da Matteo del Fante (ad di Poste italiane), con i giornalisti Lucia Annunziata, Massimo Gaggi, Gianni Riotta, con Alberto Carnevale-Maffè (docente Sda Bocconi) e con la direttrice di Aspenia, Marta Dassù.
Naturalmente, nel volume si ricorda come in realtà una crisi, almeno parziale, del moderno concetto di democrazia si fosse già manifestata prima della diffusione di massa dei nuovi media e della rivoluzione digitale. Spiega infatti Benedetto Ippolito che già vent'anni fa il filosofo Paul Ricoeur, riferendosi alla ricorrente instabilità dei sistemi democratici, parlava di “fragilità del politico”, ed evidenziava come in democrazia si verifichi una sintesi incompiuta tra cittadinanza, sovranità popolare, uguaglianza e dinamiche del consenso. Ma nell'era dei social media, osserva ancora il professore di Roma Tre «la “democrazia 4.0” si alimenta perennemente di un'enorme contraddizione: quella proveniente dal seguire una prassi di rappresentatività verticale del potere politico, attraverso l'emanazione legale del consenso in canali istituzionali, e quella di una dinamica della comunicazione in perenne evoluzione, la cui accentuazione radicalizza la diffusione di immagini, idee, emozioni, in senso orizzontale».
Occorre poi tener conto di uno shock collettivo indotto dalla caduta delle previsioni di crescita, com'è stato quello provocato dalla grande crisi iniziata dieci anni fa: quando le promesse, esplicite o immaginate, di “magnifiche sorti e progressive” non vengono mantenute, i cittadini- elettori si vendicano. Ed è più facile che si trasformino in haters, scaricando nella vita quotidiana di Internet quella sorta di “sindrome di Timone di Atene” che tramuta un uomo fiducioso nel più violento dei misantropi.
Ma, concludono Roberto Menotti e Marta Dassù nella loro introduzione «il progresso tecnologico è comunque un progresso e non è il caso di farsi prendere dal panico: è bene ricordare che la visione liberale ha sempre dovuto fare i conti con la tensione fra sfera delle libertà pubbliche e sfera privata».
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