La desolata libertà dell’«homo digitalis»
di Filippo La Porta
3' di lettura
Bisognerebbe sostenere di più l’“uomo novecentesco” che c‘è in Alessandro Baricco, mentre lui in nome delle magnifiche sorti del digitale vorrebbe tacitarlo. In che senso? Provo a spiegarlo tra un po’(mi accorgo che la prosa baricchiana è contagiosa: stavo per dire «Fidatevi, ora ve lo spiego!»). The game (Einaudi) si può usare come un utile bignamino sulla rivoluzione digitale (Baricco è il nostro Harari), con qualche debito filosofico verso Vattimo (mai citato!), un paio di affondi suggestivi e alcune istantanee spettacolari(il passaggio dal calciobalilla al flipper e a Space Invaders). Apprendiamo che gli artefici della “insurrezione mentale” del Web - benché la sua origine sia militare - sono stati gli hippie (già beat, poi nerd), gli informatici fricchettoni californiani che stanno cambiando l’umanità senza alcun progetto ma solo risolvendo problemi pratici. E mi piace sentir dire a Baricco che senza idee e fatti non c’è storytelling che tenga! Inoltre: il digitale è anche, almeno in parte, il tentativo di una nuova umanità di scappare dagli orrori del secolo scorso, troppo spesso giustificati dalla cultura! Chi rimpiange le vecchie latterie e il congiuntivo spesso sta difendendo il proprio status. Il nemico principale dell’umanesimo è l'umanesimo stesso, che ha tradito le proprie promesse. Soffermiamoci però sullo stile, studiatamente informale (immaginate un giovane Holden cresciuto e con il master in comunicazione)
Ogni tanto Baricco dice ai lettori «fidatevi», oppure «È un punto cruciale. Necessita di una certa attenzione: per favore mettete il cellulare nella modalità aereo». Li tratta da bambini inclini a distrarsi, anche se è abbastanza furbo da avvertirli che lui pure non ne capisce niente della materia (qui una “fenomenologia di Baricco” potrebbe sfiorare quella - famosa - di Mike Bongiorno, da parte di Eco: leggendo Baricco ci si sente più intelligenti e più moderni, anche ignorando del tutto, come lui, gli aspetti tecnici dell'argomento). Non esattamente uno stile da imbonitore. Piuttosto lo stile di uno che ironicamente “sta imitando” un imbonitore, e ci invita a stare al gioco. A volte però esagera. Come quando scrive che il figlioletto di 3 anni, dopo aver inutilmente provato a allargare con le dita la foto di un giornale scende dalla sedia «con una faccia da jazzista all’ora di chiusura». Questa similitudine non ci dice nulla sullo sguardo del bambino. Evoca un immaginario molto cool.
E vengo al limite principale del libro. Ogni tanto Baricco si fa venire in mente una (bella) domanda sulla rivoluzione digitale, ma poi aggiunge: «No, queste sono domande da uomo novecentesco, fatte da una mente antica»... Ma non capisce che solo un “uomo novecentesco” può avere dei dubbi interessanti sul game (cosa ci fa acquisire, cosa ci fa perdere). Provo a elencarne alcuni. Siamo proprio sicuri che la linearità sia sempre costrizione e che non avere confini sempre ci liberi (per il sassofonista Sonny Rollins il massimo era improvvisare ma su una pulsazione lineare)? che smaterializzare la realtà ci alleggerisca (a volte la leggerezza dell’essere diventa insostenibile)? che disinnescare le élite ci rende più colti (la disuguaglianza tra chi sa e chi non sa diventa solo meno trasparente)? che i tool digitali alimentano l’ego (forse lo indeboliscono, creandogli un habitat artificialmente protetto)?che la presa diretta sulla realtà non sia un’altra illusione? che la “semplicità” sbandierata da Steve Jobs non sia un inganno (dimentica che la fatica per raggiungere qualcosa è la sostanza di quella cosa: il percorso conta più dello scopo)? che eliminare ogni attrito con le cose arricchisca l’esperienza e invece non la impoverisca? Senza più attriti con nulla resto sulla scena soltanto io, con la mia desolata libertà (l’homo digitalis somiglia a un prolungamento della personalità narcisista e anaffettiva studiata da Christopher Lasch).
Verso la fine Baricco ci parla di “guerre di resistenza” e tenta di dire qualcosa di sinistra - il suo pubblico è pur sempre il ceto riflessivo - , ma non sembrano le obiezioni davvero fondamentali per un discorso sulla mutazione (ad es. sulle tasse che le corporation non pagano, etc.). Inoltre: la rivoluzione digitale è una causa ampiamente vincente. Già si impone ovunque in modo rapinoso (vi avevo detto che la prosa baricchiana è contagiosa). Perché difenderla con la verve che un tempo dedicavamo alle cause perse? Tanto più che i “barbari”(le nuove generazioni) - abili a connettere e a muoversi in superficie - a volte sono attratti segretamente da ciò che sembrano rifiutare (la qualità, la profondità, il radicamento). Si aspettano da noi notizie utili dai vecchi mondi, per poter fare raffronti, e non una celebrazione tautologica (e tra un mese già superata!) dell’oltremondo in cui abitano.
The Game, Alessandro Baricco, Einaudi, Torino, pagg. 325, €18
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