analisil’analisi

La difficile Vigilanza nell’Unione poco unita

di Alessandro Merli

(Epa)

3' di lettura

Non è stata un’infanzia facile quella della vigilanza bancaria europea. Concepita e partorita nel giro di pochi mesi, ha trovato una casa alla Banca centrale europea, anche se molti ritenevano che non fosse la sua dimora ideale, sotto la pressione dell’urgenza. Ha cominciato a lavorare mentre era ancora alla ricerca di un modus operandi, ma ha avuto comunque il merito di dare una spinta al rafforzamento patrimoniale del sistema e a liberarlo almeno in parte dell’ambiguo rapporto vigilanti-vigilati che in diversi Paesi era stato una delle cause della crisi.

Si è dovuta confrontare con regole che cambiano, dalla proibizione dei bail-out all’introduzione del bail-in, e con un’unione bancaria incompleta: senza la garanzia comune sui depositi, ha ricordato di recente il capo economista della Bce, Peter Praet, non si può nemmeno parlare fino in fondo di moneta unica.

Loading...

Si è concentrata anzi tutto sul rischio di credito, dove era più facile intervenire, e ora, con un lavoro che di fatto inizia con l’annuncio di ieri, metterà le mani anche sul rischio spesso mascherato da modelli interni, che troppo a lungo sono stati considerati troppo complessi per intervenire, ma la cui disomogeneità crea problemi alla credibilità dei bilanci delle banche non solo in Europa, ma anche nel confronto internazionale. Il lavoro viene preso sul serio: la vigilanza della Bce non ha mai investito tanto su un singolo progetto.

L’impasse sulle nuove regole di Basilea, un’incertezza che sta nuocendo pesantemente alle banche, è dovuta anche alle visioni contrapposte dei modelli interni sulle due sponde dell’Atlantico. Il problema è che ora, quando sarebbe stato il momento di stringere, non si sa nemmeno quale sia l’atteggiamento sulla riva americana. La nuova filosofia dell’amministrazione Trump rischia di mettere in crisi anche il consenso globale che era emerso dopo la crisi, e cioè che la finanza non potesse più esser lasciata senza regole.

Intanto, però, l’Europa non ha ancora risolto l’eredità della crisi precedente. Chi ritiene che i crediti deteriorati siano un problema solo italiano, si illude. È per questo che, a dire il vero un po’ a sorpresa, il capo della European Banking Authority, Andrea Enria, ha rilanciato la questione della soluzione europea per gli Npl. In quella forma, appare difficilmente digeribile dalla Germania, ancor meno in un anno elettorale. Il vicepresidente della Bce, Vitor Constancio, ha rilanciato su uno schema europeo, ma con soluzioni nazionali.

La stessa Bce sembra rendersi conto che il tempo a disposizione non è più molto. Il fatto che ieri, insieme alla revisioni sui modelli interni, abbia lanciato uno stress test per il 2017 tutto focalizzato sulla vulnerabilità delle banche a un possibile rialzo dei tassi d’interesse, è sintomatico di come a Francoforte si preparino a un futuro che magari non sarà imminente come negli Stati Uniti (da Washington, sempre ieri, la Fdic, uno dei controllori delle banche americane, ha proposto lo stesso esercizio), ma che non è neppure più tanto remoto. Ma trovarsi di fronte a un rialzo dei rendimenti, che può di nuovo incidere sulla qualità dell’attivo e far salire le sofferenze, anche se darebbe un po’ di respiro al margine d’interesse, senza prima aver chiuso i conti con l’eredità del passato, produrrebbe nuove crepe che l’Europa non si può permettere.

Riproduzione riservata ©

loading...

Loading...

Brand connect

Loading...

Newsletter

Notizie e approfondimenti sugli avvenimenti politici, economici e finanziari.

Iscriviti