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La direttiva Ue impone scelte ecologiche e controlli ex post

La Direttiva Ue 2464 del 14/12/22 ha introdotto importanti modifiche alla rendicontazione societaria di sostenibilità richiamando gli obblighi di comunicazione contenuti nella proposta di Direttiva relativa al dovere di diligenza delle imprese ai fini della sostenibilità

di Stefano Gatti e Mario Vinzia

(rarrarorro - stock.adobe.com)

3' di lettura

La Direttiva Ue 2464 del 14/12/22 ha introdotto importanti modifiche alla rendicontazione societaria di sostenibilità richiamando gli obblighi di comunicazione contenuti nella proposta di Direttiva relativa al dovere di diligenza delle imprese ai fini della sostenibilità. Il dovere di diligenza si traduce nel dovere posto in campo alle aziende di maggiori dimensioni – soprattutto se emittenti di titoli sul mercato – di individuare, prevenire, arrestare/attenuare, verificare e render conto di eventuali danni esterni, effettivi o potenziali, derivanti da impatti negativi sui diritti umani e sull’ambiente lungo la loro catena del valore. Le imprese devono quindi travalicare una valutazione e conseguente rendicontazione confinata all’azienda presa singolarmente.

Il dovere di diligenza ai fini della sostenibilità vedrà come primi attori coinvolti le grandi aziende, con l’intento di produrre un effetto trascinamento sulle Pmi che sono parte della loro catena del valore o beneficiarie di prestiti, operazioni di finanziamento o altri servizi finanziari. Le grandi imprese dovranno pertanto valutare i rapporti d’affari lungo la propria catena del valore in ottica risk-based per individuare, prevenire e arrestare/attenuare i succitati impatti negativi. Nel far questo ad esempio, le società industriali:

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O non dovranno limitarsi a includere clausole etiche nei contratti con le controparti, ma dovranno preventivamente valutare se ci si possa ragionevolmente attendere che il partner commerciale rispetterà tali disposizioni. Dovranno controllare ex post comportamenti e azioni dei loro partner commerciali lungo tutta la catena del valore;

O in caso di individuazione di impatti negativi su diritti umani e ambiente, dovranno intervenire sui loro partner commerciali affinché gli stessi adottino misure adeguate a prevenire o rimediare a tali impatti, anche temporaneamente sospendendo i rapporti d’affari, salvo cessarli, come ultima istanza, solo laddove i partner non vi provvedano.

Non è quindi richiesto un approccio limitato a mere certificazioni di sostenibilità dei propri partners facenti parte della catena del valore, ma alle aziende maggiori viene chiesto di farsi promotrici presso gli stessi dell’attività di loro prevenzione o eliminazione degli impatti negativi.

Anche gli intermediari finanziari giocano un ruolo chiave. La citata proposta di Direttiva richiede loro di individuare eventuali impatti negativi, potenziali o effettivi, prodotti non solo dai loro clienti, ma dalla loro catena del valore, prima di porre in essere operazioni finanziarie e, se informati di possibili rischi a seguito di reclami ai sensi della proposta di Direttiva, anche durante la prestazione del servizio.

All’individuazione dovrà seguire la richiesta di porvi rimedio. In difetto, il finanziamento non dovrebbe essere erogato e, ove già concesso, in teoria potrebbe essere chiesto come soluzione di ultima istanza il rientro in forza di apposite clausole che dovranno essere inserite nel contratto. Se veramente fosse così, le aziende beneficiarie di finanziamenti finirebbero per rispondere di comportamenti non eco-sostenibili dei loro partner commerciali, salvo almeno dimostrare di essersi ragionevolmente attivate presso di essi per porvi rimedio.

Se da un lato la finalità di tutto questo è condivisibile poiché imprime una forte accelerazione verso la transizione Esg per la quale non ci si può concedere il lusso di prendere tempo, non sfugge il fatto che sul nostro pianeta diverse economie viaggiano a diverse velocità Esg.

Un esempio per tutti. Cina e India hanno nel carbone un’importante,
se non la principale, risorsa energetica. Se nella catena del valore di aziende europee vi fossero fornitori provenienti da queste aree,
quali leve avrebbero le aziende europee per richiedere ai loro fornitori l’uso di un diverso mix energetico nei loro processi produttivi? La sospensione o cessazione del contratto? E con quali conseguenze economiche ammesso che in certi casi vi siano alternative?
E come tale situazione potrà influire sull’accesso del mercato
dei capitali da parte dell’azienda europea?

Questi interrogativi dovranno trovare un’adeguata risposta prima dell’approvazione finale della direttiva sul Dovere di diligenza e
alla sua entrata in vigore.

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