La discontinuità vera non ha bisogno di gesti dimostrativi
Le azioni simboliche spesso servono ad alleggerire il fardello di impostare una strategia
di Massimo Milletti
3' di lettura
Discontinuità, autorevolezza, competenza, alto profilo. Lessico tipico dell’universo aziendale, preso recentemente in prestito dal mondo politico al fine di nobilitare il processo di selezione e di nomina della squadra di governo. D’altronde, alcune dinamiche presentano assonanze con le modalità che caratterizzano i cambi al vertice delle società. Quando per esempio si parla di discontinuità, si vuole rimarcare un passo ardito, enfatizzando la scelta di un processo di frattura dai connotati traumatici. Passo che espone i decisori a facili critiche e che condanna il leader portatore di tale vessillo a tenere comportamenti coerenti con le aspettative. Missione con un quoziente di difficoltà direttamente proporzionale alla qualità del predecessore. Rettificata la nomina, scatta l’ossessione dei primi cento giorni, quale paradossale periodo di prova di fede ai proclami e agli impegni presi. Si manifesta quindi il bisogno di evidenziare la rottura con quello che di colpo è diventato il passato, compiendo rapide esecuzioni di manager apicali, puntando su quelle che possano riscuotere un buon consenso interno. O prendendo subito iniziative quali la revisione al ribasso della politica delle auto aziendali e dei viaggi. Messaggi simbolici, azioni dimostrative, con imponderabili ripercussioni sul morale dell’organizzazione, lanciati da chi si è arrogata l’effige della discontinuità. E che servono ad alleggerire temporaneamente il fardello di impostare una strategia nuova e autentica. Strada sdrucciolevole da percorrere, soprattutto a fronte di positivi risultati precedentemente conseguiti. E che richiede indiscutibili capacità di guida. Dinamiche aziendali non dissimili da quanto si vede in politica. Che punta a saldare subito alcune delle sue cambiali per dilazionare il protesto dell’elettore. Politica alla quale va ora dato il merito di un incomparabile atto di discontinuità con la coraggiosa nomina a premier di una giovane donna. Punti di contatto si possono rilevare anche quando, nella creazione della squadra di governo, si mira a figure tecniche. Per la scelta delle quali ci si fa vanto di ambire a personaggi di alto profilo. Quasi che il contrario avesse senso. E se la strategia di ricerca appare simile tra azienda e politica e cioè di puntare subito sui migliori e quindi, a fronte di rifiuti, di abbassare progressivamente il target, ciò che fa la differenza è la riservatezza con la quale si gestisce il processo. Fondamentale per tutelare la privacy dei potenziali candidati. Opportuna per proteggere l’immagine di chi cerca, nell’ipotesi di eventuali dinieghi. E corretta nei riguardi di chi accetta, al quale, nel caso, è meglio non far sapere che era l’ultimo della lista. Su questo tema le aziende a capitale privato si sono da anni organizzate per gestire con professionalità le varie fasi del processo. Rimangono delle smagliature in quelle a controllo pubblico. Ma il gioco delle liste appassiona come quello del Lotto. Smarcato il tema delle figure tecniche di alto profilo, i criteri di selezione enunciati dalla politica per completare la squadra di governo sono l’autorevolezza e la competenza. Approccio lodevole, qualora non discriminante nei riguardi delle figure più giovani, facendo scelte inquinate da misurazioni del valore basate principalmente su criteri di anzianità.
Modalità difficilmente accettabile da parte degli esclusi, soprattutto quando si enfatizza l’importanza di valorizzare il merito. In sintesi, parlare di discontinuità comporta la responsabilità di implementare una vera rottura, rinunciando a tutte le sfumature che sono concesse nei processi definiti di cambiamento o di trasformazione. Esempio emblematico, il caso Twitter. Si tratta dunque di una scelta coraggiosa, da soppesare con cura. Che deve basare la sua legittimazione su un piano strategico innovativo, sfuggendo alla banale tentazione di fare il contrario di quanto precedentemente attuato. Con una leadership che, assumendosi un impegno di lungo periodo, non senta il bisogno di confermare la sua serietà con azioni dimostrative di corto termine, finalizzate a convalidare la propria autorevolezza. Princìpi, questi, validi sia per le aziende che per la politica. Anche se, dopo avere in passato legittimato la teoria delle convergenze parallele, la politica può imboccare la via della discontinuità nel solco della continuità.
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