La Doc Roma cresce ma servono aziende “pivot”
Il marchio insiste su una superficie di 300 ettari e nel 2022 ha prodotto 1,88 milioni di bottiglie di vino, 47 le cantine che ne fanno parte
di Giorgio Dell'Orefice
3' di lettura
Uno degli storici limiti del vino italiano è l’eccessiva parcellizzazione. Oltre 500 marchi tra Doc, Docg e Igt rappresentano da un lato una ricchezza che però, dall’altro, risulta difficile promuovere. Soprattutto all’estero perché questi nomi fanno riferimento ad aree e luoghi spesso sconosciuti al consumatore internazionale. È per questo motivo che da qualche anno si sta affermando la tendenza a puntare su denominazioni più grandi e legate invece a nomi riconoscibili. Basti pensare alla macro Doc del Pinot Grigio delle Venezie, al successo della Doc Sicilia, al sempre maggior ricorso all’Igt Toscana o all’indicazione del termine “Toscana” nell’etichette di denominazioni (come richiesto dal Vino Nobile di Montepulciano). E questo perché la riconoscibilità di un legame con il territorio a livello internazionale è sempre più un fattore di successo.
Rientra pienamente in questo trend il forte sviluppo della Doc Roma la denominazione che abbraccia un’area di 28mila ettari (esclusi però i terreni compresi all’interno del Grande Raccordo Anulare) e che con i comuni di Santa Marinella e Tolfa a Nord-Ovest arriva a lambire la Maremma Toscana, a Est si avvicina alla provincia di Rieti e a Sud comprende anche Frascati, Marino e i comuni dei Castelli Romani. Un’etichetta che ha l’indubbio vantaggio di far riferimento alla città Eterna universalmente conosciuta e che da sola garantisce un ricco “storytelling” considerato che a Roma ci sono da sempre tracce della presenza del vino. Dagli insediamenti etruschi e dall’Impero Romano la produzione vitivinicola ha accompagnato la vita degli uomini nell’alimentazione, nella medicina e in ambito religioso. In età imperiale sono state destinate a vigneto le aree vocate dei suoli vulcanici del Colli Laziali e della Sabina. Un ruolo importante tra V e X secolo è stato svolto anche dalla Chiesa che ha conservato il patrimonio varietale attorno a monasteri e abazie. Sotto il pontificato di Paolo III a cavallo del 1500 è aumentata l’attenzione verso i vini dei Castelli, della Sabina e dei Colli Prenestini perché il vino “romanesco” (quello prodotto nel raggio di sette miglia dal Campidoglio in aree come il Gianicolo, il Vaticano o Monte Mario e in molti altri vigneti rimasti nella toponomastica della Capitale come Vigna Clara o Vigna Murata) non bastava più per soddisfare la domanda cittadina.
E ora sembra proprio in rampa di lancio una nuova fase della millenaria storia del vino legato alla Capitale. Nel 2011 è infatti nata la denominazione Roma Doc grazie alla costituzione dell’Associazione dei Produttori vini Doc Roma promossa da una decina di aziende distribuite inizialmente su 175 ettari vitati. Un progetto che in poco più di dieci anni ha coinvolto e convinto molti altri produttori che hanno via via aderito portando oggi la compagine a quota 47 cantine che nel 2018 hanno dato vita al Consorzio di tutela del vino Doc Roma. Oggi la Doc Roma insiste su una superficie di 300 ettari e nel 2022 ha prodotto 1,88 milioni di bottiglie di vino con una crescita rispetto all’anno precedente del 22 per cento.
«Sul nostro territorio stanno puntando anche nuovi investitori – ha spiegato il presidente del Consorzio di tutela della Doc Roma, Tullio Galassini - come la famiglia Veronesi (Gruppo Calzedonia) o come la scommessa effettuata nell’area di Campagnano romano da un importatore di vini made in Italy negli Emirati arabi. I produttori locali invece vedono nella Doc Roma una grande chance per individuare nuovi spazi di mercati all'estero dove già oggi è diretta la stragrande maggioranza della produzione. Ora però serve uno sforzo organizzativo e imprenditoriale. Abbiamo bisogno di imprese più strutturate che riescano a fare da traino alla nostra Doc. Ci auguriamo che la prossima giunta regionale voglia accompagnare questo processo».
Molto cambierà anche dal punto di vista produttivo per favorire la diffusione sui mercati dei vini targati Roma, etichette prodotte prevalentemente da uve Montepulciano (i rossi) e Malvasia puntinata (i bianchi).
«Abbiamo proposto al ministero dell’Agricoltura – ha aggiunto Galassini – un pacchetto di modifiche al disciplinare di produzione. Le più importanti riguardano la possibilità di realizzare due spumanti, uno bianco e l’altro rosé e abbiamo chiesto di poter chiamare col termine tradizionale ‘Violone' le uve Montepulciano alla base dei nostri rossi oltre a modifiche tecniche per rendere i nostri vini più morbidi e vicini al gusto internazionale. E in futuro vorremmo far rientrare nella nostra Doc anche le aree interne al raccordo anulare nelle quali da sempre si sono coltivati vigneti. A cominciare da Villa Borghese nel centro di Roma che anticamente era un grande vigneto».
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