La doppia scommessa su flessibilità e lotta all’evasione
di Dino Pesole
3' di lettura
La manovra da 29-30 miliardi che il Governo si accinge a mettere a punto, all’interno della nuova cornice macroeconomica e di finanza pubblica contenuta nella Nota di aggiornamento del Documento di economia e finanza (con un Pil 2020 a quota 0,6% e un deficit programmatico al 2,2% del Pil) poggia essenzialmente su due pilastri: la flessibilità da concordare in sede europea pari a circa la metà dell’intera manovra, dunque 14,4 miliardi, e le maggiori entrate attese dalla lotta all’evasione pari a circa 7 miliardi. Cifre consistenti, molto impegnative che vanno ad aggiungersi ai risparmi attesi dal calo dello spread, pari a circa 6 miliardi, mentre la parte relativa ai risparmi di spesa si attesta sostanzialmente nel solco delle più recenti e non certo risolutive azioni sul versante della cosiddetta spending review (3,5 mld se si comprende anche il taglio di alcune agevolazioni concesse a settori più inquinanti).
I punti interrogativi
Se la parte prevalente delle coperture è affidata al maggior deficit consentito dalle regole europee, attraverso una loro più elastica reinterpretazione, e al gettito atteso (auspicato e quantificabile ex ante solo in via di prima approssimazione) grazie agli incentivi al ricorso ai pagamenti tracciati attraverso le carte di credito e gli strumenti telematici che verranno definiti tra breve in legge di Bilancio, il convoglio della manovra parte con alcuni evidenti punti interrogativi. Da un lato non può che essere accolto con favore l’intendimento del governo di porre al centro della sua strategia di politica economica il contrasto all’evasione fiscale, male endemico del nostro paese che sottrae risorse per un ammontare astronomico di recente quantificato attorno ai 110 miliardi l’anno. Dall’altro occorre osservare che questo encomiabile intendimento dovrà collocarsi all’interno di una più complessiva operazione (culturale prima ancora che economica) in grado di scardinare alla radice il consolidato ricorso a pratiche evasive ed elusive. Lo si fa certo con incentivi (quali quelli diretti a rendere più conveniente il ricorso ai pagamenti tracciati scoraggiando il diffuso utilizzo del contante) ma anche con un’azione congiunta sul fronte delle semplificazioni degli adempimenti tributari e misure dirette ad accrescere la cosiddetta tax compliance, vale a dire l’adempimento spontaneo al pagamento delle imposte.
La strada della flessibilità
Va bene l'idea del “patto” evocato dal presidente del Consiglio Giuseppe Conte e dal ministro dell’Economia Roberto Gualtieri, ma al tempo stesso occorre mettere effettivamente in atto tutti gli strumenti di cui l’amministrazione finanziaria è già in possesso, a partire dall’incrocio dei dati presenti nelle diverse banche dati. E lo si fa anche attraverso l’inasprimento delle pene e delle sanzioni a carico dei grandi evasori. Quanto alla flessibilità europea, la strada del ricorso al maggior deficit (già ampiamente utilizzata dai governi precedenti) non potrà essere percorsa all’infinito, perché comunque sempre di maggior deficit si tratta. Per essere pienamente credibile e strutturale, la strategia di politica economica proiettata su un orizzonte triennale dovrà dunque essere sostenuta da un impegno certo e suffragato dai numeri in direzione della riduzione del debito pubblico (che cala solo dello 0 ,5% dal 2019 al 2020) e di una incisiva opera di riqualificazione della spesa. Operazione non semplice in stagioni di bassa crescita e di inflazione ancora non in linea con l’obiettivo perseguito dalla Bce (2%), e tuttavia necessaria per consolidare la fiducia da parte dei mercati finanziari.
Il rilancio della crescita
Il risultato in termini di minore spesa per interessi consentirà di aprire spazi aggiuntivi a beneficio di politiche di bilancio espansive e dirette a sostegno della crescita. Non ci si può rassegnare a tassi di crescita dello “zero virgola”. Il quadro delle variabili esogene non aiuta, tra guerra dei Dazi, Brexit e rallentamento dell’economia tedesca, ma anche per questo occorre spingere con vigore sul pedale delle riforme strutturali, per accrescere la produttività, e mettere in cantiere investimenti (in infrastrutture materiali e immateriali) con l’obiettivo di realizzarli superando quel muro di pastoie burocratiche, intrecci di competenze e veti che li frenano fino a vanificarne ogni possibile effetto in termini di creazione di valore aggiunto e di posti di lavoro stabili e duraturi. È la sfida del Green new deal da 50 miliardi in 15 anni annunciato dal Governo: si riuscirà a realizzarlo?
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