La faticosa ripresa del mercato del lavoro globale
Secondo l’Oml i dati sugli occupati sono caratterizzati dal segno «più» ma ancora lontani dai livelli pre-pandemici. Occorre investire sull’essere umano
di Marcello Minenna
I punti chiave
6' di lettura
Dopo il pessimo bilancio del primo anno di pandemia, nel 2021 il mercato globale del lavoro ha sperimentato un deciso miglioramento soprattutto grazie alle riaperture generalizzate delle attività economiche rese possibili dalle vaccinazioni. Secondo l’Organizzazione Mondiale del Lavoro (Oml, una costola delle Nazioni Unite) siamo però ancora lontani da un pieno recupero di quanto perso rispetto alla situazione pre-Covid. Il primo dato che fotografa bene questa situazione è il numero di ore lavorate su scala mondiale che lo scorso anno è cresciuto del 5,9% rispetto al 2020.
Ciò significa che abbiamo recuperato 7,5 miliardi di ore lavorative in più a settimana, l’equivalente di 156 milioni di nuovi posti di lavoro a tempo pieno (full time equivalent jobs). Considerato che nel 2020 la perdita di ore lavorative settimanali aveva oltrepassato gli 11 miliardi, il divario residuo ammonta a circa 3,5 miliardi di ore a settimana e potrebbe essere riassorbito già quest'anno. Tuttavia – sottolinea l’Oml – se si tiene conto anche della crescita della popolazione, nel 2022 le ore lavorate a livello globale resteranno ancora il 2% al di sotto del trend pre-pandemico (cfr. Figura 1). In dettaglio, quest’anno il numero complessivo di ore lavorate settimanalmente dovrebbe attestarsi poco sotto i 140 miliardi contro gli oltre 142 miliardi che con tutta probabilità si sarebbero raggiunti nello scenario controfattuale di mancato scoppio della pandemia.
Un altro tratto saliente della ripresa intervenuta nel 2021 è l’elevata disomogeneità tra i paesi ricchi e quelli poveri. La posizione dei vari paesi in termini di ricchezza ne ha, infatti, pesantemente condizionato la capacità di varare stimoli fiscali adeguati ma anche l’accesso alla vaccinazione e, con esso, la possibilità di ritornare regolarmente alle attività lavorative. Il 60% dei 3,5 miliardi di ore di lavoro settimanali non ancora recuperate si concentra nei paesi a reddito medio-basso, dove a fine 2021 l’incidenza dei vaccini sulla popolazione totale era del 34,5%, vale a dire meno della metà di quella rilevata nei paesi a reddito medio-alto (72,2%).
La situazione nei vari continenti
In termini di distribuzione geografica, l’Asia è il continente che ha sperimentato il maggior incremento di ore lavorate: 4,5 miliardi in più a settimana, pari al 60% del dato globale (cfr. Figura 2). Questa performance è coerente con le elevate dimensioni relative del continente asiatico rispetto al mercato del lavoro globale. Non a caso nel 2020 l’Asia era stata anche il continente più colpito dallo shock pandemico con un’emorragia di ore lavorate settimanalmente pari a quasi 7 miliardi.
La regione formata da America Latina e Caraibi si colloca al secondo posto dopo l’Asia, con un recupero di 1,3 miliardi di ore lavorate a settimana. Seguono, nell’ordine, l’Africa (+930 milioni), l’Europa (+520 milioni), il Nord America (+340 milioni) e l’Oceania (+20 milioni).
Un approfondimento sull’Europa (cfr. Figura 3) evidenzia come la risalita nel numero di ore lavorate sia stata molto pronunciata soprattutto nei paesi che erano stati maggiormente colpiti dal crollo del 2020. In particolare, Spagna, Italia, Portogallo, Regno Unito e Francia figurano rispettivamente ai primi 5 posti con una crescita compresa tra il 7% e il 9,5%. Va anche segnalata l’anomala posizione della Germania, ultima tra i paesi considerati con un incremento delle ore lavorate di appena lo 0,5% rispetto al 2020. A pesare sono stati sicuramente i problemi nelle catene di approvvigionamento globali e il loro impatto sulla manifattura tedesca, specie sul settore automotive.
La ripresa delle ore lavorate verificatasi l’anno scorso è stata alimentata principalmente dall’aumento dell’orario lavorativo delle persone occupate e, in minor misura, dal calo della disoccupazione e dell'inattività.
L'inerzia della disoccupazione…
Nel 2021 il tasso disoccupazione globale è arretrato dello 0,4% rispetto al 2020, passando dal 6,6% al 6,2%. Si tratta di un miglioramento modesto, specie se paragonato al balzo all’insù di oltre 1 punto percentuale verificatosi nel primo anno di pandemia. In termini assoluti il numero dei disoccupati è sceso di 9,5 milioni. In base ai dati aggiornati dell’Oml, questo significa che appena ¼ di quelli che avevano perso il lavoro nel 2020 sono riusciti a trovarne un altro mentre i restanti ¾ (28 milioni di persone) sono rimasti disoccupati. In più l’Oml stima che nel 2022 la disoccupazione calerà di meno e che l’anno dovrebbe chiudersi con circa 207 milioni di disoccupati a fronte dei 186 del 2019. Addirittura il tasso di disoccupazione globale dovrebbe essere ancora superiore ai livelli pre-pandemici fino al 2023.
Il dato sulla variazione mondiale dei disoccupati intervenuta nel 2021 è la risultante di dinamiche piuttosto eterogenee tra i vari continenti (cfr. Figura 4). Il numero dei disoccupati è sceso notevolmente in Asia (-8,9 milioni, quasi la metà dell’incremento registrato nel 2020) e nel Nord America (-4,6 milioni). In Europa, invece, il totale dei disoccupati si è assottigliato di appena 270.000 unità: in pratica solo il 15% di quelli che avevano perso il lavoro nel primo anno di pandemia è riuscito a trovare un’occupazione. Pessima, infine, è stata la performance dell’Africa e dell'aggregato formato da America Latina e Caraibi, dove nel 2021 la fila dei disoccupati ha continuato ad ingrossarsi rispettivamente di 3,1 milioni e 1,3 milioni di individui.
…e dell’inattività
Il 2021 ha registrato pochi progressi anche per quanto riguarda gli inattivi, ossia le persone che non hanno un’occupazione e neppure ne cercano una. Fondamentalmente si è consolidato il risultato raggiunto nella seconda metà del 2020, vale a dire quello di «contenere» l'incremento della popolazione inattiva rispetto a fine 2019 al di sotto dei 25 milioni di unità, dopo il picco di circa 70 milioni toccato a giugno 2020. Ciò è stato possibile principalmente grazie alla progressiva revoca delle misure di lockdown stretto adottate durante la prima violenta ondata di contagi. Ricordiamo, infatti, che all’epoca la chiusura totale di tutte le attività lavorative non essenziali aveva reso palese a chi non aveva lavoro l’inutilità di impegnarsi attivamente a cercarne uno.
I dati relativi al terzo trimestre 2021 indicano che a livello globale (Africa esclusa) restavano ancora 19,4 milioni di inattivi in più rispetto all'ultimo anno prima della pandemia (cfr. Figura 5). La maggior parte di queste persone (13 milioni, oltre il 67% del totale) si concentrava nella regione dell’America Latina e dei Caraibi che già nel 2020 era stata la più colpita da questo fenomeno. La persistenza di un’elevata fetta di popolazione «inattiva causa pandemia» (i.e. in aggiunta rispetto all’epoca pre-Covid) in questa regione va verosimilmente associata ai problemi nell’azione di contrasto al virus ma nasconde anche un boom del lavoro sommerso. Ad esempio, in paesi come Messico, Perù e Argentina, l’occupazione cosiddetta «informale» ha contribuito per oltre il 70% della creazione netta di lavoro registrata dalla metà del 2020 in poi.
Dopo l’America centro-meridionale, Asia e Nord America sono, nell’ordine, le aree geografiche che a fine settembre 2021 conservavano ancora il maggior numero di inattivi in più rispetto a dicembre 2019: rispettivamente 4,4 e 3,8 milioni. Il dato nord-americano, in particolare, mostra una certa rigidità nel riassestarsi su livelli pre-pandemici e potrebbe risentire del fenomeno della Great Resignation manifestatosi dall’anno scorso nel mercato del lavoro statunitense. Migliore invece la performance del vecchio continente che a settembre 2021 aveva completamente azzerato gli «inattivi causa pandemia» ed era persino riuscito a ridurre il totale della popolazione inattiva di 2,2 milioni di unità rispetto a fine 2019.
Un’analisi di dettaglio su alcuni paesi Europei (cfr. Figura 6) rivela che la compressione degli inattivi è stata particolarmente intensa in Francia, Polonia e nei Paesi Bassi. Italia e Portogallo conservano un surplus di inattivi rispetto al periodo pre-Covid ma si tratta di un numero modesto, specie se raffrontato ai picchi raggiunti dai due paesi nel secondo trimestre 2020.
Il reddito da lavoro recuperato
L’incremento delle ore lavorate verificatosi nel 2021 ha consentito un parziale recupero del reddito da lavoro perso nel 2020. Una stima approssimativa dell'entità di questo recupero può essere ottenuta incrociando la quota di Pil riconducibile al fattore produttivo lavoro con l’aumento delle ore lavorate. In termini lordi (ossia senza considerare gli interventi di sostegno al reddito approntati in parecchi Stati) parliamo di quasi 2800 miliardi di dollari, pari al 2,95% del Pil globale. A beneficiare di questa ripresa è stato anzitutto il continente asiatico con maggiori redditi da lavoro per circa 1000 miliardi di dollari nel 2021. Seguono il Nord America (780 miliardi di $), l’Europa (550 miliardi di $), l'America Latina e Caraibi (370 miliardi di $) e il resto va all’Africa e all'Oceania.
A livello mondiale restano ancora quasi 1000 miliardi di dollari di reddito da lavoro non ancora recuperato. Senza contare l’ulteriore gap negativo rispetto allo scenario controfattuale di nessuna pandemia. Il mese scorso l’Oml ha rivisto al ribasso le sue stime di recupero per il 2022 soprattutto per via delle persistenti incertezze sul quadro epidemiologico, a partire dal rischio di nuove varianti. Secondo l’Organizzazione, ci vorranno anni per riassorbire completamente l’impatto della crisi causata dal Covid nel mondo del lavoro. A farne le spese sono e saranno soprattutto i paesi a reddito basso e medio-basso con evidenti pericoli per la coesione sociale e la stabilità politica.
È dunque essenziale improntare la ripresa del mercato globale del lavoro al criterio dell’inclusività. A tal fine l’Oml raccomanda ai policymakers di incentrare la loro agenda sull’essere umano e di rafforzare la cooperazione internazionale per aiutare i paesi più poveri a portare i loro tassi di vaccinazione su livelli paragonabili a quelli dei paesi a reddito più alto. Una sfida per il futuro, perché la globalizzazione che abbiamo voluto a tutti i costi diventi più sostenibile per tutti.
Direttore Generale dell'Agenzia delle Dogane e dei Monopoli
@MarcelloMinenna
Le opinioni espresse sono strettamente personali
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