BANCA CENTRALE USA

La Fed alza i tassi allo 0,75-1% e prepara altre due strette

di Marco Valsania

Janet Yellen (Reuters)

3' di lettura

NEW YORK - La Federal Reserve ha alzato i tassi di interesse americani al termine di un vertice di due giorni e ha segnalato che la stretta di politica monetaria proseguirà. Un rialzo di un quarto di punto, allo 0,75%-1%, che è stato accolto dal mercato azionario come un segno incoraggiante sullo stato di salute dell'economia. Si tratta del terzo rialzo dei tassi di questo ciclo dopo quello del dicembre 2015 - fu la prima stretta dal giugno 2006 - e del dicembre 2016. La decisione è stata presa quasi all’unanimità: 9 voti contro uno. I membri del Fomc prevedono che i Fed funds saranno in media all’1,4% a fine 2017 e al 2,1% alla fine del 2018.

Ma la Banca centrale non è pronta ad accelerare ulteriormente la sua manovra, mostrando scetticismo o quantomeno cautela sul lancio e impatto delle riforme economiche e fiscali promesse dalla nuova amministrazione di Donald Trump: al momento mantiene in programma soltanto altre due strette sui tassi interbancari, che porterebbero il totale a tre nell'intero 2017, lo stesso percorso anticipato fin dallo scorso dicembre. Alcuni analisti avevano ipotizzato l'aggiunta di un quarto rialzo del costo del denaro entro dicembre in risposta a un maggior ottimismo di operatori finanziari ed economici.

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La Banca centrale, al contrario, ha temperato eccessivi entusiasmi sull'espansione, mantenendo sostanzialmente invariate le sue previsioni sulla ripresa: il Pil degli Stati Uniti dovrebbe crescere del 2,1% quest'anno e di altrettanto l'anno prossimo, quest'ultimo un leggerissimo miglioramento rispetto alla precedente attesa del 2% per il 2018. Il tasso di disoccupazione dovrebbe assestarsi attorno al 4,5% come indicato a dicembre, e l'outlook per l'inflazione, 1,9% quest'anno e 2% il prossimo, è a sua volta immutata.

La scelta odierna della Federal Reserve era parsa obbligata: un rialzo dei tassi per tener conto di un'economia che cresce e macina maggiori posti di lavoro e piu' salutare inflazione. E per dimostrare che la Fed è all'avanguardia nella svolta in corso nella politica monetaria globale, che scommettendo su schiarite sta portando altre banche centrali - dalla Bce al Giappone, dalla Gran Bretagna fino alla Norvegia e alla Turchia - a riconsiderare la lunga marcia degli stimoli post-crisi.

Nel comunicato la Fed ha precisato che l'economia americana avanza oggi a «passo moderato», con «solidi guadagni occupazionali» e un «incremento» dell'inflazione verso il target del 2 per cento. Non mancano, tuttavia, incognite sia politiche che economiche. La stagnazione di lungo periodo dei salari rimane preoccupante e la marcia della crescita modesta. Soprattutto potrebbero intensificarsi pressioni della Casa Bianca per dar spazio a rafforzamenti dell'espansione, che Trump ha promesso di portare fino al 3%-4% grazie a un'agenda di tagli delle imposte e investimenti infrastrutturali. Una spinta all'espansione - davanti al fatto che azioni legislative richiederanno quantomeno tempo - avrebbe bisogno della cooperazione di una Banca centrale che la Casa Bianca non ha ancora avuto modo di plasmare con nuove nomine. Il New York Times ha battezzato le potenziali divergenze di priorità come un «lento corso di collisione».

Le politiche di bilancio, ha detto il Presidente della Fed Janet Yellen nella sua conferenza stampa successiva, «potrebbe influenzare l'outlook economico». Ma è «naturalmente troppo presto per sapere come queste politiche si svilupperanno». Un ruolo cruciale potrebbe svolgerlo la credibilità della politica di budget che la nuova amministrazione saprà davvero delineare a partire dalle prossime ore. Giovedì dovrebbe sollevare il sipario su una proposta caratterizzata da drastici tagli nella burocrazia e nella spesa federale, con l'eccezione di Difesa e sicurezza interna. Preludio d'una difficile battaglia che si affiancherà a quella già cominciata sulla sanità: lunedì notte lo stesso ufficio di Bilancio del Congresso ha lanciato un allarme sul piano repubblicano anti-Obamacare, calcolando che provocherebbe un aumento dei non assicurati di 18 milioni nel 2018 e 24 milioni entro il 2026. Sarebbe questo il prezzo per ridurre di 337 miliardi il deficit federale in dieci anni. I premi assicurativi aumenterebbero nei primi quattro anni per diminuire in media del 10% fra dieci anni, un calo concentrato tra i piu' giovani e abbienti. Superare l'ostacolo sanità è indispensabile per passare in seguito al varo di un'ambiziosa riforma fiscale pro-business.

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