La Fed continua la sua stretta: solo da dicembre un rallentamento
Gli analisti prevedono un nuovo rialzo da 75 punti base, ma da dicembre le strette potrebbero limitarsi ai 50 punti
di Riccardo Sorrentino
I punti chiave
4' di lettura
Un altro rialzo da 75 punti base, fino al 3,75%-4%. Insieme, forse, all'annuncio di un possibile rallentamento a dicembre, con strette da 50 punti base. Le attese degli analisti per la riunione di novembre della Federal reserve sembrano univoche. Avendo rinunciato alla forward guidance, che le avrebbe forse permesso un cammino più graduale anche se non meno restrittivo, il comitato di politica monetaria, il Fomc, sarà ancora costretto ad alzare i tassi con decisione. La stretta comincia però a manifestare i suoi primissime effetti, e un rallentamento in futuro non è fuori luogo.
Inflazione ancora elevata
L'inflazione statunitense è ancora elevata. L'indice Pce, che la Fed assume come punto di riferimento, è al 6,2%, un livello di inflazione più basso – per esempio – che in Eurolandia, malgrado la forte spinta della domanda negli Stati Uniti. La core inflation, che negli Usa tende a “guidare” l'inflazione complessiva sembra si sia stabilizzata attorno al 5% e non ha finora manifestato una tendenza alla flessione. Sono livelli sicuramente insoddisfacenti.
Le aspettative di inflazione tornano al rialzo
Le aspettative di inflazione – misurate dai mercati – sono tornate lentamente a salire, nelle ultime settimane. Sono lontane dai massimi di inizio anno, quando hanno toccato anche il 3,5%, ma dopo essere calate intorno al 2,2%, a livelli quasi compatibili con l'obiettivo, si sono portate ora al 2,4% - per gli inflation rate swaps – e al 2,6% per i break even a cinque anni. È una situazione che va sicuramente monitorata.
Salgono i rendimenti...
La rinuncia alla forward guidance dà l'idea che la Fed sia più preoccupata, in questa fase, della struttura effettiva del tassi che delle aspettative di inflazione, che pure sono il fattore principale della dinamica dei prezzi. La stretta sta manifestando gli effetti lungo tutta la “catena di trasmissione” – termine un po' fuorviante, in realtà – verso i tassi finali. I rendimenti hanno continuano il loro rialzo, con una parziale inversione che ha portato la Fed di Cleveland a indicare nel 23,9% le probabilità di recessione tra un anno (ma il nesso tra l’inversione della curva e una flessione del pil si è mostrata molto labile, nel tempo).
...e il dollaro
Il dollaro continua il suo rialzo, allontanandosi sempre più dalla media di lungo periodo che si può considerare come una prima approssimazione del suo valore di equilibrio. Un dollaro elevato non segnala solo che i mercati hanno ben recepito le intenzioni della Fed ma permette di “importare” deflazione. Con molti limiti, però: i listini di molti beni trattati internazionalmente sono redatti direttamente in dollari, e le variazioni del cambio incidono negli Usa meno - o più lentamente - che altrove.
Condizioni finanziarie in equilibrio
Scendendo lungo la catena di trasmissione, l'indice delle condizioni finanziarie della Fed di Cleveland si è ormai portato a ridosso dello zero, che coincide per definizione con la media di lungo periodo e quindi con una prima approssimazione del livello neutrale. A giudicare da questo indicatore, con tassi Fed al 3,25%, la politica monetaria ha quasi completato la normalizzazione. Con rendimenti al 3,75% a un mese e al 4,18% a tre mesi, e un'inflazione al 6% i tassi reali sono però ancora negativi. Con rendimenti a lunga compresi tra il 4,1 e il 4,4% e aspettative al 2,4-2,6, i tassi reali sono invece già decisamente positivi. L'indice della Fed di Cleveland a -0,11 appare compatibile con questa situazione.
La stretta inizia a mordere
Non mancano altri segnali che indicano una stretta che già morde. La base monetaria sta proseguendo la sua lenta flessione, dopo una lunga fase di stabilizzazione, e così l'offerta di moneta (misurata da M1) che dal massimo di fine aprile ha già perso il 4%. L'indice di Borsa Wilshire 5000, il più ampio, è da tempo animato da una tendenza discendente, mentre persino i prezzi delle case hanno dato a luglio e, in modo più pronunciato, ad agosto un primissimo segnale di inversione di tendenza.
Obiettivo curva di Phillips
Per la Fed tutto questo non è sufficiente. La Fed sembra interessata alla curva di Phillips, al rapporto – variabile nel tempo, forse anche in dipendenza della stessa politica monetaria – tra disoccupazione e inflazione. Negli ultimi mesi ha mostrato una relazione – di mera correlazione – molto stretta ed è troppo presto per immaginare uno spostamento della curva su una pendenza diversa. La Fed, pur mantenendo l'approccio “riunione dopo riunione” – che pure lascia l'economia nell'incertezza delle sue mosse – potrebbe desiderare di prolungare ancora la stretta, tenendo ben presente che la politica monetaria agisce con un ritardo «lungo e variabile».
Verso il 5%?
Dalle indicazioni dei “dots”, del resto, risulta che i governatori erano orientati a portare i tassi al 4,25-4,50% a fine 2022 - un livello compatibile con un rialzo di 75 punti base a novembre e di 50 a dicembre - e al 4,5-4,75% a fine 2023, e non manca chi immagina un 4,75-5%. Solo nel 2024 si potrà immaginare l'inizio, probabilmente, tardivo, dei tagli dei Fed Funds.
loading...