Fed: tassi d’interesse fermi al 5,25%-5,50%, ma stretta continua
La fase di restrizione durerà più a lungo del previsto, i tagli inizieranno solo a fine 2024
di Riccardo Sorrentino
I punti chiave
3' di lettura
Il Federal Open Market Committee (Fomc), l'organismo della Federal Reserve responsabile della politica monetaria degli Stati Uniti, ha deciso di mantenere i tassi d’interesse al 5,25%-5,50%, il livello più alto dal 2001; la decisione è in linea con le attese degli analisti ed è stata unanime (12-0).
Dal marzo 2022, è la seconda volta che la Banca centrale statunitense decide di mantenere invariati i tassi d’interesse; nelle altre undici riunioni, è sempre stato deciso un rialzo dei tassi per contrastare l’inflazione. I tassi d’interesse erano stati abbassati allo 0-0,25% nel marzo del 2020, per combattere gli effetti negativi della pandemia di coronavirus sull’economia statunitense, e poi progressivamente alzati dallo scorso anno.
La pausa non è la fine della stretta. Per fine anno, 12 governatori “prevedono” che i tassi salgano al 5,50-5,75%, mentre solo sette credono che resteranno fermi al livello attuale. Si tratta di indicazioni non molto diverse da quelle fornite a giugno, quando però due banchieri centrali immaginavano altri due rialzi, invece di uno, mentre uno dei componenti del comitato di politica monetaria pensava che fosse necessario portarli addirittura al 6-6,25%. «Vogliamo vedere migliori risultati - ha detto in conferenza stampa il presidente Jerome Powell - prima di arrivare alla conclusione» che l’attuale livello dei tassi è sufficiente. prossimo rialzo, a novembre o dicembre, resta quindi per ora probabile. Le decisioni continueranno a essere prese «riunione dopo riunione» in base ai dati.
La stretta, inoltre, potrebbe durare più a lungo. Per fine 2024, i governatori - attraverso i “dots” pubblicati ogni tre mesi, i punti con cui indicano le loro stime sul costo del credito ufficiale - indicano tassi al 5-5.25%, mentre a giugno la mediata puntava 0,50 punti più in basso, al 4,50-4,75%. È quindi possibile che il primo prossimo taglio sarà deciso alla fine dell’anno prossimo.
Per il 2025 le indicazioni puntano nella mediana al 3,75-4%, mentre a giugno esprimevano un 3,25-3,50%. Per il 2026, le prime stime indicano tagli per un punto percentuale, fino al 2,75-3% , che pure sono più elevati del valore di lungo periodo, considerato “neutrale” - né accomodante, né restrittivo - e confermato nel 2,5% anche se alcuni governatori hanno rivisto al rialzo le loro valutazioni.
A sostegno della maggior durata della stretta, le proiezioni macroeconomiche prevedono un più elevato rischio sui prezzi rispetto a giugno, sia pure in uno scenario complessivo che punta a un soft landing, a un costo limitato della manovra restrittiva. Le indicazioni sull’inflazione non sono molto variate: 3,3% per fine anno (dal 3,2%), 2,5% per il 2024 (invariato) e 2,2% per il 2025 (dal 2,1%) e 2% per il 2026. Analoghe le indicazioni per la core inflation: si passa dal 3,7% di quest’anno, al 2,6% nel 2025, al 2,3% nel 2025 e al 2% nel 2026.
È la disoccupazione che resta più bassa del previsto (e probabilmente, per quanto possa essere triste dirlo, del voluto): dal 3,8% di fine anno (era 4,1% a giugno), salirà al 4,1% nel prossimo e nel successivo (invece di portarsi al 4,5%), per poi tornare al 4% che è considerato il valore di equilibrio (in un certo senso, l’obiettivo di lungo periodo). Anche il pil sarà più brillante del previsto: 2,1% quest’anno (dall’1% di giugno), 1,5% nel 2024 (era 1,1%), 1,8% nel 2025 (invariato) e nel 2026. Uno scenario tutto sommato benigno per una fase di disinflazione. Il soft landing, ha spiegato Powell, è evidentemente un esito voluto dalla Federal reserve anche se, ha aggiunto il presidente, l’obiettivo prioritario resta comunque la stabilità dei prezzi e quindi il ritorno dell’inflazione all’obiettivo del 2% medio.
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