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La Fed pronta ad alzare i tassi. Occhi dei mercati su Powell

Dopo lo stop di giugno attesa una nuova mossa da 25 punti base

di Luca Veronese

Economia Usa cresce del 2%. Fed, "almeno altri due rialzi"

3' di lettura

È ormai certo, salvo improvvisi cambi di rotta dell’ultima ora, che il Federal Open Market Committee della Federal Reserve riprenderà la stretta mercoledì, dopo la pausa di giugno, alzando il tasso di interesse di riferimento di 25 punti base, fino a raggiungere un intervallo compreso tra il 5,25% e il 5,50%, ai massimi da oltre vent’anni. Ma sulle prossime decisioni, su un ulteriore rialzo prima della fine dell’anno, sembra essersi fatto largo più di un dubbio e ogni scelta della Banca centrale Usa dipenderà dalle valutazioni che verranno fatte sulla resilienza dell’economia, sulla rigidità del mercato del lavoro, e sul persistente rischio di inflazione.

Più che la decisione, che appare dunque scontata, sui tassi di interesse, conteranno - come sempre - le parole e i toni che verranno utilizzati dal Jerome Powell. Il presidente dalla Fed ha più volte ricordato che «il comitato crede chiaramente che ci sia altro lavoro da fare, che ulteriori aumenti dei tassi potrebbero essere appropriati nel corso dell’anno». Ma la riflessione - la stessa che aveva determinato la decisione di lasciare invariati i tassi a giugno, dopo dieci incrementi consecutivi, per meglio valutare l’evolvere degli indicatori su prezzi e lavoro - è tuttora in corso, più aperta oggi di quanto non fosse solo due mesi fa.

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«La Fed tuttavia - spiega Diane Swonk, capo economista di Kpmg - non vuole farsi ingannare dalla recente decelerazione dell’inflazione e non può dichiarare vittoria troppo presto. I mercati finanziari hanno sempre anticipato la Fed, questo ha già allentato le condizioni del credito e potrebbe favorire un’accelerazione della crescita».

Dal meeting della Banca centrale di giugno, l’inflazione ha rallentato più del previsto verso l’obiettivo del 2% tanto che per molti analisti la moderazione degli aumenti dei prezzi è ormai destinata a continuare anche senza ulteriori aumenti dei tassi. L’ottimismo per un atterraggio morbido orchestrato dalla Fed - uno scenario in cui l’inflazione scende, la disoccupazione rimane relativamente bassa e gli Usa riescono ad evitare la recessione - è testimoniato da alcuni indicatori macroeconomici chiave, dall’andamento dei mercati, dalla fiducia dei consumatori.

Martedì 24 luglio il Fondo monetario internazionale ha alzato le previsioni di crescita per il Pil Usa portandole all’1,8% per quest’anno; il tasso di disoccupazione al 3,6% è vicino ai minimi dell’ultimo mezzo secolo; la misura dell’inflazione preferita dalla Fed è scesa dal 7% nel giugno del 2022 al 3,8% nello scorso maggio (pur restando ben al di sopra del target fissato). E anche l’attenuarsi delle pressioni sui prezzi ha determinato un aumento della fiducia dei consumatori che a luglio - con l’indice curato dal Conference Board salito a 117 rispetto ai 110,1 di giugno - ha raggiunto il livello più alto degli ultimi due anni.

Anche Tim Duy, capo economista statunitense per Sgh Macro Advisors, si aspetta che la Fed prosegua nella stretta nei prossimi mesi. «La Fed a giugno aveva previsto una crescita del Pil pari all’1% nel 2023, una prospettiva che richiederebbe un arresto improvviso dell’economia nella seconda metà dell’anno», afferma Duy, spiegando che «abbiamo già abbastanza visibilità sul terzo trimestre per sapere che non si sta verificando».

La tenuta dell’economia sembra lasciare dunque la porta aperta a ulteriori rialzi dei tassi da parte della Fed: «Non è ancora chiaro quale crescita verrà tollerata mentre l’inflazione si attenua ma crediamo che Powell prima di cambiare linea sarà propenso ad attendere un ulteriore raffreddamento dell’economia e maggiori certezze sulla stabilità dei prezzi».

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