La Fiera di Francoforte in Italia: «Pronti ad alleanze e acquisizioni»
Intervista a Detlef Braun, presidente di Messe Frankfurt: mai come quest’anno l’Italia è tra le nostre priorità
di Giovanna Mancini
4' di lettura
«Sono stati due anni molto difficili per l’industria fieristica, e lo scenario attuale non è meno preoccupante, ma questa situazione ha creato anche delle opportunità, accelerando alcuni processi che fino a tre anni fa sarebbero stati impensabili, almeno nei termini in cui li vediamo oggi. Mi riferisco soprattutto alla digitalizzazione e all’apertura a collaborazioni e alleanze tra società storicamente tra loro concorrenti». Detlef Braun, presidente e membro del consiglio direttivo di Messe Frankfurt – uno dei più grandi gruppi fieristici internazionali, con 736 milioni di euro di fatturato nel 2019 e 2.200 dipendenti – è a Milano non solo per i saluti di fine anno alla squadra italiana (operativa dal 1998, con 43 persone). È nel nostro Paese perché «l’Italia è sempre stata un mercato importante per noi, ma mai come in questo momento è stata tra le nostre priorità», spiega Braun. Il 2022 è stato l’anno migliore per la filiale italiana in termini di utile, spiega l’amministratore delegato di Messe Frankfurt Italia Donald J. Wich: «La nostra principale fiera in Italia, Sps, che si tiene nel quartiere di Parma, ha raggiunto risultati record, e anche la presenza di aziende italiane ai nostri eventi di Francoforte e nel resto del mondo è aumentata». Non solo: se in termini di espositori e visitatori il gruppo nel suo insieme ha recuperato tra il 60% e l’80% dei livelli pre-pandemia, gli eventi in Italia hanno raggiunto performance superiori.
Presidente, l’Italia avrà un peso crescente nel vostro portafoglio?
Sì, intendiamo aumentare la presenza di aziende italiane nelle nostre manifestazioni, inoltre, vogliamo consolidare la nostra presenza in Italia, in linea con una strategia di diversificazione dei mercati. Pensiamo al contesto: in seguito all’invasione della Russia in Ucraina e alle sanzioni imposte a Mosca dal governo tedesco il nostro gruppo, che è di proprietà pubblica (il 60% è controllato dalla Municipalità di Francoforte e il 40% dallo Stato federale di Hessen, ndr), ha dovuto dismettere la filiale russa. In Cina, il nostro secondo mercato dopo la Germania, la situazione è di grande incertezza, a causa delle restrizioni anti-Covid, quindi abbiamo deciso di ridurre la nostra dipendenza dalla Cina e di rafforzarci su altri mercati. Siamo uno dei player fieristici con la maggiore presenza internazionale, con 28 filiali e più di 50 sales partner in 186 Paesi, ma possiamo ancora crescere, soprattutto su mercati come Stati Uniti, India, Asean, Giappone, Medio Oriente e nella stessa Europa. In questo contesto si inserisce anche l’Italia.
Cosa prevede la strategia di crescita nel nostro Paese?
Il primo passo è valutare opportunità per implementare il nostro portafoglio esistente nelle cinque maggiori aree di business: tessile, beni di consumo, mobilità e logistica, media&entertainment e tecnologie. In secondo luogo, siamo pronti ad acquisire nuovi prodotti interessanti tra quelli già esistenti sul mercato. Infine, siamo aperti a collaborazioni con altre società fieristiche.
Pensate ad alleanze, anche di tipo societario, con i principali gruppi fieristici italiani?
Assolutamente sì. Potrebbe essere sul fronte del prodotto, ovvero delle manifestazioni, ma siamo aperti a valutare anche altre opportunità, laddove abbiano un senso industriale e strategico. Anche per lavorare insieme fuori dall’Italia, come ad esempio già facciamo, a Shanghai, con Milano Unica. Noi abbiamo le infrastrutture in tutto il mondo e questo potrebbe essere di grande interesse per i gruppi fieristici italiani, che invece all’estero operano in genere appoggiandosi alle strutture di soggetti locali. La priorità riguarda i nostri cinque ambiti strategici, su cui abbiamo esperienza e competenze ormai decennali. Ma siamo aperti a valutare anche altre opportunità, se la base industriale è solida e interessante.
Scenari e strategie impensabili prima del Covid-19…
È vero. Abbiamo parlato tanto degli svantaggi e delle difficoltà di questi due anni. Ma guardiamo anche alle opportunità: saremmo stati così aperti alla digitalizzazione dei servizi oppure a collaborazioni e alleanze con i nostri competitor, se non ci fosse stata la pandemia? Onestamente non credo, o almeno non a questi livelli e in questo modo. È stata dura, inutile negarlo: per 24 mesi, dal febbraio 2020 al secondo trimestre del 2022, la nostra attività è stata quasi esclusivamente quella di rinviare o cancellare manifestazioni. In alcuni Paesi le attività sono proseguite, ma nella maggior parte dei mercati su cui siamo presenti si sono fermate. È stato demotivante per la nostra squadra, ma anche difficile dal punto di vista economico: abbiamo quasi azzerato i ricavi, mentre i costi operativi, di organizzazione e promozione, sono rimasti: è stato speso circa il 75% dei costi previsti per le manifestazioni, anche se non si sono svolte o se si sono tenute solo in forma digitale.
Ora però siete ripartiti: anche in Germania il ritorno di espositori e visitatori è stato superiore alle attese, come in Italia?
Sì. Non siamo ancora tornati al livello del 2019, che è stato il nostro anno record, ma la tendenza è molto positiva. Abbiamo svolto delle indagini durante le nostre manifestazioni e il livello di soddisfazione degli espositori è risultato in linea con quello del 2019, in termini di qualità dei visitatori: sono meno numerosi, ma più profilati e operativi. E questo è molto importante, ci dà grande fiducia per affrontare il futuro, nonostante le grandi sfide che ci attendono nel 2023.
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