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La fine del mondo secondo Radu Jude al centro di un grande film

In lizza per il Pardo d'oro il nuovo lungometraggio del regista rumeno, intitolato “Do Not Expect Too Much From the End of the World”. In competizione anche l'ultima fatica dell'autore filippino Lav Diaz

di Andrea Chimento

Do Not Expect Too Much From the End of the World

3' di lettura

Dopo l'Orso arriverà il Pardo d'oro? Se lo augura Radu Jude, regista rumeno che, dopo aver vinto il massimo riconoscimento al Festival di Berlino 2021 con “Sesso sfortunato o follie porno”, punta a ottenere il premio più ambito del Festival di Locarno.
Jude ha presentato in concorso “Do Not Expect Too Much From the End of the World” e si è superato, firmando quello che fino a oggi è probabilmente il film più stratificato e importante della sua intera carriera.
Protagonista è Angela, una ragazza che attraversa Bucarest in auto per filmare il casting di un video relativo alla sicurezza sul lavoro commissionato da una multinazionale. Oberata di impegni e sottopagata, gira anche moltissimi video per i suoi profili social, utilizzando un filtro che la trasforma in un alter ego carico di rabbia e portatore di messaggi estremamente populisti.

Diviso in due parti (separate da un intermezzo di croci simboleggianti vittime di incidenti automobilistici), “Do Not Expect Too Much From the End of the World” alterna nella sua prima sezione la storia di Angela, rappresentata da un bianco e nero sporco e di estremo realismo, con le immagini di un film prodotto nel 1981, dal titolo “Angela merge mai departe”, valorizzato da colori sgargianti e dalla pellicola in 35mm.Attraverso una struttura simile a quella del suo lungometraggio precedente, Jude dà vita a uno spietato spaccato sulla società contemporanea, mettendo a confronto la Romania di oggi con quella ai tempi della dittatura di Ceaușescu.

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Do Not Expect Too Much From the End of the World

Una grande riflessione sull'odierna società dello spettacolo

Attraverso un bombardamento audiovisivo di grandissima forza, Jude accusa l'universo mediatico di oggi, rappresentandolo come un mondo fatto unicamente di menzogne, manipolazioni, estremizzazioni di ogni sorta: un universo in cui non basta aver subito un terribile incidente per poter diffondere un messaggio, ma in cui servono il volto adeguato e le giuste parole, all'ordine delle multinazionali e di chi controlla i soldi e il potere. Tra aforismi, riferimenti popolari (il cinema di Uwe Boll, direttamente presente in scena) e citazioni colte (il “suicidio” di Godard), Jude utilizza il sarcasmo per mostrare il marciume della “società dello spettacolo” odierna e offrire allo spettatore una serie di riflessioni che trovano il totale compimento nella lunghissima sequenza che copre l'intero secondo capitolo della pellicola.

Sovrabbondante, barocco, grottesco e raffinato allo stesso tempo, “Do Not Expect Too Much From the End of the World” è uno di quei film che non si dimenticano e tra le pellicole più significative viste nel corso di tutta questa stagione.

Essential Truths of the Lake

Essential Truths of The Lake

In concorso è stato presentato anche il nuovo lungometraggio di un altro grandissimo autore come Lav Diaz, intitolato “Essential Truths of the Lake”.Il regista filippino racconta qui la storia di un investigatore che rimane ossessionato per tanti anni dal caso di una ragazza scomparsa misteriosamente. All'interno di un contesto sempre più devastato, a causa della corruzione e dei disastri naturali, l'uomo cerca in tutti i modi di dare un senso alla sua infinita ricerca.In questa pellicola di 215 minuti, Diaz torna a molti dei temi classici della sua carriera, a partire da quello delle sparizioni improvvise di persone su cui la polizia smette poi di indagare.Il regista dirige così un nuovo grido doloroso nei confronti delle condizioni in cui versa il suo popolo, non risparmiando critiche particolarmente decise al governo di Duterte, rimasto in carica fino allo scorso anno.La resa è incisiva e non mancano sequenze altamente degne di nota, ma Diaz ha fatto senza dubbio di meglio (si pensi a un capolavoro come “From What Is Before”, premiato proprio a Locarno) e il film non riesce a emozionare come vorrebbe, fatta eccezione per alcuni notevolissimi momenti tra i quali svetta la sequenza finale.Il risultato è un buon film, ma dall'autore di “Melancholia” e “Norte, the End of History” è lecito aspettarsi molto di più.

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