La forza delle parole: il linguaggio per costruire ambienti di lavoro inclusivi
Non possiamo prescindere dalla capacità di ascoltare, dal rispetto di opinioni diverse dalle nostre e soprattutto delle persone che le esprimono
di Livio Zingarelli *
4' di lettura
Le parole sono il mezzo naturale con cui ci esprimiamo quotidianamente, attraverso cui comunichiamo i nostri pensieri, stati d’animo, scherziamo, raccontiamo esperienze, interagiamo con gli altri. Le parole che usiamo hanno importanti conseguenze perché c’è una stretta relazione tra pensiero, parola ed azione; il loro potenziale è enorme. “Le parole sono tutto ciò che abbiamo, perciò è meglio che siano quelle giuste”, diceva lo scrittore statunitense Raymond Carver. Le parole determinano il modo con cui ci relazioniamo con gli altri, contribuendo a creare empatia e connessione, ma anche, al contrario, a erigere barriere e generare divisione.
Per costruire un ambiente di lavoro sereno, dove ognuno possa sentirsi a proprio agio, le diversità possano essere valorizzate e i diversi talenti esprimersi liberamente, è dunque fondamentale diffondere e sostenere l’uso di un linguaggio inclusivo.
L’esperienza della pandemia ha sicuramente influenzato e incrementato questa necessità e ci ha aiutato ad analizzare il significato delle parole in modo diverso, a dar loro un ambito valoriale nuovo. In quel contesto che ci ha messo di fronte a nuove fragilità e ci ha fatto riscoprire nuove risorse, siamo profondamente cambiati, anche nel linguaggio. Dietro alla semplice frase “Come stai?” abbiamo imparato a rispondere senza retorica, raccontando come stiamo veramente, noi e le persone a noi care. Il nostro linguaggio tipicamente aziendale, con un suo stile e codice, si è mescolato alla voce dei nostri cari, alle parole e alle attività dei nostri figli, ai rumori di casa, di un’aspirapolvere o di un citofono. Parole e immagini sono diventate liquide, espressione di una contaminazione tra lavoro e casa e di una nuova autenticità. Sono diventate un mezzo di inclusione.
Ma cosa significa utilizzare un linguaggio inclusivo? Andando oltre l’esperienza della pandemia, per semplificare, possiamo dire che un linguaggio inclusivo è costituito da parole e da frasi che rifuggono il pregiudizio, la discriminazione di gruppi di persone in base a razza, genere, età, stato socioeconomico e abilità. Ma c’è di più.Un linguaggio inclusivo non può prescindere dalla capacità di ascoltare, in maniera sincera e aperta, i nostri interlocutori. Dal discutere e dal confrontarsi sulle idee, rispettando quelle diverse dalle nostre e soprattutto le persone che le esprimono. Dall’acquisire la consapevolezza che le parole suscitano emozioni, reazioni, e hanno conseguenze.
Un linguaggio inclusivo è dunque un linguaggio che ci permette di entrare in sintonia con gli altri, capire ed essere capiti, accogliere e far sentire tutti “nel posto giusto”. È un modo per esprimere la nostra intelligenza emotiva, per essere empatici e saper leggere le emozioni nostre e altrui. L’utilizzo di questo tipo di linguaggio può avere un grande impatto sul nostro senso di appartenenza all’organizzazione aziendale, e generare valore non solo per i lavoratori, ma anche per l’azienda. Far sì che all’interno di un contesto lavorativo si diffonda l’utilizzo di un linguaggio inclusivo è però una sfida che va affrontata con impegno e costanza.
Ogni settore, ogni azienda ha il suo slang, che spesso è frutto di anni di consuetudini, tradizioni, all’interno delle quali talvolta sono radicati, anche sotto forma di parole e modi di dire, pregiudizi. Di questi è bene prendere coscienza, per poterli affrontare e superare. Anche utilizzando le giuste parole. Le parole dell’inclusione.Spesso poi la discriminazione si annida in frasi all’apparenza innocue, o nel fatto che quando pensiamo alla diversità tendiamo a considerare per lo più il sesso e il genere, quando invece sono molte altre le differenze che possono caratterizzare le persone che fanno parte di un’azienda.
Ma le diversità sono molte, e non tutte sono visibili o possono apparirci tali da far sentire qualcuno discriminato o escluso. Una frase come “voi giovani” o “per la sua età” oppure “noi a Milano” e “voi tecnici” può apparire innocua, ma non è affatto detto che lo sia.
Adottare un linguaggio inclusivo richiede dunque un po’ di preparazione, allenamento e volontà. Prepararsi significa acquisire consapevolezza dei propri pregiudizi, linguistici e non solo. Allenarsi significa fare esercizio di ascolto e di empatia. Cogliere la provocazione di Robert Montgomery e chiedersi: “Sto davvero ascoltando o sto solo aspettando il mio turno per parlare?”. Occorre poi la volontà di prestare attenzione alle parole che pronunciamo, prendersi il tempo per esprimere al meglio il nostro pensiero, per evitare di cadere in stereotipi, pregiudizi ed etichette, ed essere invece rispettosi, farsi capire, avvicinarsi agli altri.
In Philips Italia, all’interno del nostro percorso dedicato ai temi della D&I, abbiamo dedicato il 2022 proprio al linguaggio inclusivo. Siamo partiti all’inizio dell'anno da un’indagine sullo stato dell'arte, affinché ciascuno di noi potesse prendere consapevolezza del livello di sensibilità acquisita e dei pregiudizi ancora da affrontare. Il cammino è poi proseguito tra iniziative di formazioni di diversa natura ed è poi culminato, nella seconda metà dell’anno, in un progetto ideato e condotto insieme a Parole O_Stili.
In una serie di incontri con esperti del linguaggio, abbiamo voluto affrontare i vari aspetti dell’inclusività e del rispetto della diversità, anche quelli meno eclatanti, con focus particolari sulla age diversity, la body positivy e le cosiddette micro-aggressioni. E a proposito di aspetti meno eclatanti, abbiamo potuto riflettere su quanto anche il silenzio sia una forma di comunicazione. Una forma tanto più importante ed efficace quando diventa un mezzo per comprendere l’importanza di ascoltare, di riflettere, di saper tacere quando è necessario, per poter poi magari esprimersi con maggiore lucidità e intenzionalità al momento giusto. Perché come ha scritto Enrico Galiano: “Quando parlo di cose importanti non voglio sentirmi dire giusto o sbagliato. Voglio sentirmi ascoltato”.
* Head of HR - Italy, Israel & Greece - Philips
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