La frenata del potere d’acquisto, il nodo che Macron non ha sciolto
La capacità di consumo delle famiglie è il tema che ha accompagnato il giovane presidente, che ha prima ignorato il problema, poi lo ha affrontato lasciandosi trascinare dagli eventi
di Riccardo Sorrentino
5' di lettura
Le pouvoir d'achat, il potere d'acquisto. È stato il filo rosso del rapporto tra governo e francesi, dai Gilet Jaunes fino alle proteste sulle pensioni, non a caso esplose proprio mentre, nel primo trimestre del 2023, riprendeva a calare.
Di nuovo in calo
I dati parlano chiaro. Tra gennaio e marzo, il potere d’acquisto per unità di consumo è sceso dello 0,6%, rispetto al mese precedente, dopo due trimestri di rialzo che hanno permesso parzialmente di recuperare altri sei mesi di flessione, a inizio del 2022. Durante la pandemia, la flessione è stata anche più brusca ma, nello stesso tempo, salivano i risparmi delle famiglie, che non potevano davvero acquistare beni e servizi per i lockdown.
Un trend in progressiva frenata
Nel lungo periodo, il quadro appare un po’ diverso, ma non mancano motivi di preoccupazioni. La tendenza resta al rialzo: il potere d’acquisto ha conosciuto improvvise cadute, nel 1984 e poi tra 2011 e 2013 – non tanto, quindi, in occasione della grande recessione, ma dopo la crisi fiscale europea – ma ha sempre ripreso a salire. Dopo ogni fase di calo, però, ha rallentato: la famiglia francese ha visto il suo potere d'acquisto crescere di un robusto 3,2% medio annuo tra 1960 e 1983; poi lo ha visto frenare all'1,3% annuo tra 1984 e 2010, e infine passare a un moderato +0,6% tra 2012 e 2021. Se ci si concentra sull'ultima fase di incremento ininterrotto, tra il 2015 e il 2021, il ritmo di crescita appare più robusto ma si ferma comunque allo 0,9%. La percezione dei francesi, dunque, è che quello di una progressione sempre meno sicura.
I Gilets Jaunes e il potere d’acquisto
Le cronache recenti raccontano una storia parallela a quella dei dati, troppo “macro” per cogliere alcune tendenze sociali. A cominciare dal movimento del Gilets Jaunes: le proteste sono esplose un sabato di novembre 2018, il 17, ed poi proseguita, settimana dopo settimana, fino a inizio 2020: solo la pandemia è riuscita a disarticolarla e placarla del tutto, anche se la sterilità del movimento, che ha rinunciato fin dai suoi primi passi a farsi istituzione perdendosi anche tra qualche rivalità personale, aveva già mostrato tutti i limiti dei giubbotti gialli.
La centralità dell’auto
Il fattore scatenante fu l’aumento delle tasse sui carburanti, e in particolare sul gasolio. I prezzi alla pompa erano saliti molto rapidamente, nel lungo periodo: dal 1990, a fronte di un'inflazione del 40%, il gasolio era salito del 300%, la benzina del 200%. Nello stesso periodo, molti dei pendolari francesi avevano visto aumentare i tempi di percorrenza: 43 minuti la media. Pesava, tra l'altro, il trasferimento di molte imprese e di molti servizi dai piccoli e piccolissimi centri del Paese – il comune medio ha 2mila abitanti, contro i 20mila di Italia e Germania – verso i centri più grandi. Un'inchiesta ha mostrato come gli abitanti dei piccoli centri rurali lamentino la perdita nel tempo di scuole, servizi postali, ospedali, pronti soccorsi, centri di maternità, parrocchie, persino di librerie…
Accise e limiti di velocità
La grandezza del Paese - poco meno del doppio dell’Italia - rende impossibile immaginare una rete ferroviaria e di trasporti pubblici che arrivi dappertutto. L'automobile è quindi diventata, in Francia, uno strumento fondamentale per la vita economica.In queste circostanze, tra 2017 e 2018 il governo guidato da Edouard Philippe aveva aumentato una parte delle accise, la Tipce, la Taxe intérieure de consommation sur les produits énergétiques, sul gasolio portandolo allo stesso livello della benzina. Il vantaggio delle auto diesel – ormai due su tre nei nuovi acquisti – era cancellato. A fine 2018, il gasolio aveva raggiunto il prezzo della benzina, dopo un aumento del 16% in un anno; altri incrementi delle imposte erano previste per il 2019. L'abbassamento, nel 2017, della velocità massima nelle strade extraurbane da 90 a 80 km l'ora fu considerata quasi una forma aggiuntiva di tassazione (una taxation by citation, in termini tecnici).
Ricchi e poveri
A peggiorare le cose, la Tipce può essere scaricata, in Francia, da alcune categorie economiche e professionali e da diverse aziende ad alto uso di carburanti. L'immagine di Macron come protettore dei privilegiati – «il presidente dei ricchissimi», come lo chiamò il predecessore François Hollande, che pure si era distinto per il disprezzo mostrato verso i meno abbienti (gli «sdentati», li chiamava) – conquistata con l'abolizione della Tassa sulla ricchezza, emerse rafforzata.
L’allarme del 2018
Governo e presidenza, in realtà, erano stati avvertiti. Il ministro degli Interni, Gèrard Collomb – che non a caso nel 2018 si dimise per tornare alla guida del comune di Lione – aveva lanciato l'allarme sulla situazione nelle campagne, colpite da anni da una désertification dei servizi, soprattutto pubblici. Macron, facendo l'errore più grave di tutta la sua presidenza, decise di ignorare l'avvertimento del suo ministro. Recuperare fu difficile, ma non impossibile.
La reazione della politica
Al di là delle iniziative politiche – il Grande dibattito nazionale, che lo vide girare tutto il Paese per discutere con i sindaci – Macron imparò la lezione. Iniziò allora una lunga fila di aumenti dei salari minimi – dieci in sei anni, l'ultimo è scattato il 1° maggio - aumenti delle pensioni, premi e altri interventi: durante i suoi mandati il potere d'acquisto è salito dell'1% annuo in media. Alcune situazioni emersero come critiche: i genitori single, per esempio, o alcune categorie di pensionati facevano fatica ad arrivare a fine mese.
L’attivismo di Macron non gli ha permesso in realtà di recuperare la fiducia dei francesi: le sue concessioni sono arrivate sulla spinta della piazza e la sua retorica, come l'enfasi sui capocordata, riemersa in occasione delle elezioni regionali del 2021, ricordavano ai cittadini che le sue attenzioni erano riservate ai più “fortunati”.
Le proteste sulle pensioni
Non si possono spiegare le recenti proteste sulla riforma delle pensioni se non si considerano queste circostanze. La legge approvata senza voto del Parlamento – grazie ad alcune deroghe previste dalla Costituzione – è molto graduale e mette ordine a un sistema enormemente complicato: la maggioranza dei francesi era favorevole a una revisione complessiva. Hanno però pesato la difficoltà di capire il “costo economico” individuale della riforma e l'aumento da 62 a 64 anni dell'”età legale”, l'età che permette di aver diritto a un trattamento “normale” (sono previsti premi e penalità per chi va in pensione dopo o prima). Per i francesi è stata una tassa in più, non insopportabile ma politicamente indigeribile.
L’inflazione tra pandemia e guerra
La riforma ha inoltre coinciso con l'inflazione post-pandemica e bellica, che ha riproposto il tema del potere d'acquisto: nel 2022 gli stipendi sono aumentati del 3,8% medio, che sale al 4,6% per gli operai e al 4,2% per gli impiegati, ma a fronte di un'inflazione del 6%. Di nuovo Macron è apparso reattivo, trascinato dalla piazza: per superare l'impasse politica della riforma delle pensioni, ha aumentato i salari minimi e ha dedicato uno dei tre cantieri varati per rilanciare il paese al lavoro, ma le misure da lui prospettate sono di carattere strutturale: gli aumenti per i docenti - da 100 a 500 euro mensili, da settembre – fanno parte per esempio dello sforzo per rilanciare l'istruzione, premiano le competenze e l'impegno aggiuntivo. Per contrastare i rincari, il governo ha predisposto, da metà marzo a metà giugno, il “trimestre anti-inflazione”, in perfetto stile francese, non più dirigista ma decisamente votato a “orientare” le imprese.
Il ritorno delle proteste
La prima ministra Elisabeth Borne ha introdotto uno “scudo tariffario”, un limite agli aumenti su energia, gas ed elettricità, ha invitato le imprese di distribuzione a limitare o abbassare i prezzi su una «ampia lista di prodotti» - con flessioni che hanno raggiunto anche il 7% - e a tutte le aziende a ricontrattare i salari o a riconoscere premi defiscalizzati. Non è bastato: sono misure hanno la forma, e la sostanza, di provvedimenti transitori a fronte di un problema ormai di lunga durata. Ritornano quindi gli scioperi. Martedì 6 giugno hanno sfilato 281mila persone in tutto il Paese, di cui 31mila a Parigi, mentre giovedì si torna a parlare in Parlamento del tema delle pensioni per iniziativa del gruppo centrista Liot, contrario alla riforma.
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