La gioia politica di Rick Owens, i morbidi rigori di Schiaparelli
Ispirazione veneziana per Comme des Garçons, il futurismo (e il rebranding) di Rabanne, le aliene intoccabili di Givenchy e Chloé in cerca d’autore
di Angelo Flaccavento
3' di lettura
La semplicità che dilaga nella moda in questo momento, anche a Parigi, è certamente desiderio di qualcosa di più vero, ma anche di più commerciabile, per cui gli show grandiosi, grondanti fan urlanti e celebrità di ogni genere, sono mero contesto, trucco pirotecnico per distrarre dal nulla che avanza. Sono poche le sfilate che offrono una idea autentica, integrando moda e messa in scena.
In questo senso, Rick Owens rimane titanico nella scelta di una viscerale autorialità, e per la straordinaria economia di mezzi con cui ottiene risultati grandiosi: fumo, luci e, a questo giro, petali come in un quadro di Alma Tadema. Il suo è un mondo scabro e oscuro, ma reattivo a ciò che avviene intorno. «Tendo a essere pessimista, che a volte è la scelta più semplice - racconta -. Per questo ho voluto esplorare una idea di gioia, un sentimento di ottimismo: esserlo oggi è quasi un atto di resistenza politica». Owens immagina una processione di figure lunghissime e velate, oppure avvolte in bulbi di tessuto, che incedono in mezzo a una pioggia di petali, tra nebbie coloratissime. C’è un che, insieme, di vitale e funereo, e per questo di molto personale: una visione di gioia, nello sguardo di un autore incline al fosco, con una zaffata di B movie che riequilibra il tutto, erodendo il dramma.
È una prova potente non ultimo nel ridisegno del corpo, così magmatico e vitale, così vicino e insieme così lontano da Comme des Garçons, che gli stessi ambiti li esplora con spleen nipponico. Uma Wang lavora volumi giganteschi con leggerezza e poesia. Si ispira a Venezia, ai suoi muri scrostati, ai suoi quadri e affreschi, ma anche alle cortigiane che popolano cronache antiche e racconti, ai pizzi e mantelli che esse indossano. Ci sono persino cappelli a tricorno, ma non c’è nulla di letterale, perché ogni cosa è trasfigurata in astrazione volumetrica, e l’effetto è toccante, seducente.
C’è qualcosa di medievale e selvaggio da Rabanne - nel rebranding, il nome Paco è andato in archivio: cotte e cappucci, drappeggi improvvisati e scarpe piatte. Il corpo è protagonista: occhieggia da pieghe e tagli; se ne percepisce l’energia sotto le distese di metallo. Insomma, è l’ennesima reiterazione del codice futuristico della casa, cui il direttore creativo Julien Dossena ha dato un twist fantascientifico e, a questo giro, anche erotico. Ma non basta: sa tutto di formula, quindi urge portare nuove idee nel mix per non morire di inedia.
È svogliata e dimenticabile la prova conclusiva di Gabriela Hearst da Chloé, dove il suo regno è durato quasi tre anni: un mix di western e carioca in quasi esclusivo bianco e nero. L’identità dello storico marchio, in questo breve lasso di tempo, si è come seccata. Gli abiti non hanno vita, ma gli accessori sono ancora desiderabili. Chiunque le succeda dovrà in primo luogo lavorare su una idea di donna che sia meno algida, meno distante.
È una aliena esangue e intoccabile la creatura immaginata da Matthew Williams per Givenchy, anche lui giunto quasi al terzo anno di regno, anche lui in difficoltà a connettersi con lo spirito della maison. Da un paio di stagioni ha acquistato una certa gentilezza di tono, ma è evidente la scarsa abilità con le forme leggere. L’alternanza di flou volatile e tailoring dall’appiombo deciso è il tema di stagione. L’esecuzione è meccanica, e nonostante la palette di colori delicata e cosmetica, unita al nero, il risultato è rigido.
Isabel Marant sembra aver perso all’improvviso l’energia, e anche le top model, per cui il suo lavoro si rivela per quello che è: vestine banalotte, ma donanti. Negli spazi solenni dell’Ambasciata d’Italia, infine, la sfilata di Schiaparelli oscilla tra rigori morbidi da madame - convincenti - e sperimentalismi surreali - meno convincenti. Daniel Roseberry, il direttore creativo, si lascia spesso prendere la mano da trovatelle e gadget, invero in una maniera che fa pensare a Moschino, ma risulta al meglio quando toglie invece di aggiungere, relegando le boutade a minimi dettagli.
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