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La governance ha un ruolo chiave nello sviluppo sostenibile e le Pmi italiane potrebbero non essere pronte

di Pasquale Natella*

(AdobeStock)

4' di lettura

La consapevolezza dell’importanza della sostenibilità sta aumentando da parte delle imprese, ormai davanti all’evidenza che l’unico sviluppo possibile è appunto quello che guarda ad un uso consapevole delle risorse e ad una maggiore attenzione agli impatti di lungo periodo su ambiente, società e governance. Per questo è fondamentale che un approccio sostenibile caratterizzi anche la leadership delle imprese stesse.

Se da un lato il perseguimento della sostenibilità è legato a vantaggi concreti come migliori performance e benefici organizzativi di lungo periodo, dall’altro i modelli sostenibili stanno diventando più o meno obbligatori, tanto che il mancato rispetto dei loro parametri può precludere l’accesso a bandi pubblici, finanziamenti e investimenti.

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Secondo il Report eSG LAB di SDA Bocconi, le tre principali barriere allo sviluppo di strategie ESG sono una cultura aziendale che mantiene una resistenza al cambiamento (81%), la mancanza di KPI condivisi e adatti alla misurazione degli indicatori (71%) e logiche di governance “chiuse” (52%) ossia – per utilizzare le parole di Mario Draghi – “un assetto aziendale spesso mantenuto impermeabile a soggetti esterni”.

La Governance, intesa come insieme dei principi, delle regole e delle procedure che riguardano la gestione e il governo di una società, ricopre dunque un ruolo fondamentale nella spinta verso la trasformazione sostenibile e, in generale, verso tutti i processi di cambiamento ed innovazione. Tanto fondamentale che per inverso, se non correttamente programmata e sviluppata, può costituire uno degli ostacoli più rilevanti allo sviluppo e perfino alla sopravvivenza dell’impresa.

Quali sono, quindi, i principi di una buona Governance affinché questa favorisca la crescita dell’impresa?

Sia nel caso di aziende quotate, sia non quotate, si converge sulla proposta che l’impresa:

·  rispetti la divisione dei ruoli tra i livelli del sistema di governance;

·  abbia un Consiglio di Amministrazione con compiti di controllo e governo, non solo di compliance o, peggio, un ruolo di mera facciata;

·  abbia una leadership chiara, possibilmente mantenendo la separazione tra Presidente e AD;

·  consideri e valorizzi il contributo di consiglieri esterni o indipendenti.

La presenza di un Consiglio di Amministrazione deve anche servire a garantire un mix di competenze strategico ai fini della guida dell’azienda. L’analisi del Corporate Governance LAB di SDA Bocconi (che ha coinvolto 1.586 profili di Consiglieri tra società quotate e non negli anni 2012-2020) ha individuato alcune delle competenze maggiormente diffuse.

L’ANALISI
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A colpire, però, è soprattutto la scarsa diffusione di competenze chiave per i modelli sostenibili (Figura 1), come governance (12%), risk management (6%) e sostenibilità (4%). Proprio queste ultime, tra il 2012 e il 2020, hanno registrato una lieve crescita nei CdA delle società quotate, indizio di un progressivo aumento di consapevolezza rispetto ai temi ESG: governance (+6,3%), sostenibilità (+3,8%) e risk management (+3,3%). Invece, nelle società non quotate, a fronte di una crescita delle competenze di governance (+3,8%) e risk management (+0,4%) si registra una leggera flessione delle skill legate all’area della sostenibilità (-0,7%).

La realtà italiana: una panoramica

Per il tessuto imprenditoriale italiano, caratterizzato da una forte presenza di aziende familiari, alla grande sfida della transizione sostenibile si aggiunge la necessità, più forte che mai, di garantire la continuità aziendale oltre il fondatore e la famiglia.

Nel 2020, il 28% delle imprese familiari al di sopra dei 50 milioni di euro di fatturato era guidato da un leader ultrasettantenne, con rilevanti impatti in termini di crescita, come emerge dall’analisi di SDA Bocconi.

La curva della crescita media dell’impresa in rapporto all’età del leader subisce infatti una flessione passando da +14,6% delle aziende guidate da leader cinquantenni al +14,2% se guidate da under 60, per poi crollare al +8,4% quando alla guida ci sono leader over 70 .

MINORE CRESCITA
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Ne consegue, inevitabilmente, un problema di gestione del passaggio generazionale. Dati Istat rivelano che nel periodo 2011-2016 a doverne affrontare uno è stato il 9% delle imprese familiari. Proiettando lo sguardo al quinquennio 2020-2025, la previsione di un passaggio generazionale coinvolge una percentuale doppia di imprese familiari (18%). Se consideriamo che solo il 30% circa di tali imprese sopravvive al fondatore e solamente il 13% arriva fino alla terza generazione (dati Family Firm Institute) appare chiaro come il tema della continuità sia un’urgenza.  

Sfida ancor più difficile considerando che molte di queste imprese non si sono dotate di un CdA, mantenendo un’organizzazione che ruota attorno alla figura di un leader solitario. La media italiana delle aziende guidate da un Amministratore unico è infatti del 18%, con un picco in Calabria del 64,3% e solo 8 regioni (tutte nel Nord Italia, eccetto l’Umbria) sotto la media. Il dato diventa preoccupante se si guarda alle sole PMI, per le quali la media sfiora il 40%.

È più che mai fondamentale, anche per le aziende familiari, lavorare alla progettazione della Governance nel rispetto di principi e best practice, anche prendendo a modello le società quotate, e seguendo alcuni punti cardine: dall’individuazione dei ruoli di leadership all’interno della famiglia alla definizione, attraverso Statuto o patti, delle regole di gestione del rapporto famiglia-impresa, fino alla progettazione di un CdA che sia al contempo al servizio della proprietà e in grado di guidare l’azienda.

Ciò presuppone un approccio olistico alla Governance che, se potesse essere espresso in una formula, potrebbe essere pensato come un prodotto: S=Sx3P, che sta a significare che la Sostenibilità dell'impresa dipende dall'azione combinata su strategia Societaria, strategia Proprietaria, Persone e Processi. Sono questi i quattro pilastri che reggono l’equilibrio dinamico dello sviluppo sostenibile, sui quali è necessario agire contemporaneamente e in maniera coordinata.

Affinché questo sia possibile, il CdA dovrà essere ben bilanciato, non solo in termini di diversity e di membri executive, non executive e indipendenti, ma anche di competenze: deve aumentare l’attenzione su background e skill dei consiglieri affinché la Governance sia dotata di tutte le competenze necessarie a guidare e far crescere l’azienda attraverso i cambiamenti.

(*) AD di EXS Italia

Riproduzione riservata ©

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