Le conseguenze della crisi ucraina

La guerra ha mostrato i limiti dell’Unione (e la strada da seguire)

di Carlo Carboni

(AP)

3' di lettura

Lo scenario globale degli ultimi 14 anni ha conosciuto la crisi economico-finanziaria del 2008, il moltiplicarsi degli effetti del global warming, la pandemia e ora la guerra in Ucraina. Di fronte a queste sfide inattese, l’uomo comune europeo ha probabilmente pensato a quanto sia fittizio il suo incessante desiderare al cospetto dell’incertezza che avvolge la vita, venata di pericoli. Ha visto l’insinuarsi della forza illogica della guerra mentre era ancora alle prese con le geometrie della pandemia. Quindi, deve aver realizzato che c’è un’unica cittadinanza su questo continente che può contare sul piano geopolitico: è la cittadinanza politica europea, cemento di una comunità di destino. Neppure Francia e Germania sono in grado, con le proprie forze endogene, di raggiungere sovranità in campo digitale, sanitario, energetico, della sicurezza e della difesa, quanto mai necessarie in un mondo fiaccato e innervosito da una lunga pandemia e dominato da superpotenze tecnologiche e militari.

Gli Stati europei hanno probabilità di raggiungere quei traguardi di sovranità solo in chiave Ue.

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Oggi comprendiamo quanto pesino i passi in avanti mancanti nel recente passato. Se l’Unione si fosse dotata di un ministro degli Esteri unico, egli avrebbe tenuto sott’occhio la questione russo-ucraina meglio dei distratti ministri degli Esteri nazionali. Per Putin avrebbe rappresentato un segno della nostra compattezza e coesione. Per noi avrebbe comportato almeno l’esistenza di un telaio comune per creare una lucida strategia estera europea. Al contrario, in questi anni le classi dirigenti e i cittadini europei erano ripiegati sulle beghe interne, a sfogliare i petali della margherita “Europa sì, Europa no”, pressati da populismi e sovranismi provinciali. Tuttavia, a seguito dei recenti eventi inattesi, un nucleo di classe dirigente europea ha mostrato di esserci, nel bene e nel male, e di saper imprimere nuove direzioni di guida.

Il lato opaco di queste élite europee combacia con il ritardo drammatico accumulato dall’Ue, nel ventennio, come big player geopolitico, in campo farmaceutico-sanitario, energetico-ambientale, tecnologico e militare: un’unione sì, ma apparsa “dimezzata”; un gigante economico, ma un nano politico-militare. Questi deficit di sovranità continentale hanno molte cause e, tra le maggiori, c’è un regime intergovernativo bloccato nelle decisioni di fondo dall’unanimità necessaria tra gli Stati membri. La sospensione della decisione spesso diventa la regola, per evitare la complessa composizione degli interessi nazionali su questioni nodali, ma divisive. Così la mancanza di una politica fiscale comune rende impossibili gli ingenti investimenti condivisi e necessari per darsi obiettivi di sovranità europea.

Nella navigazione tra eventi inattesi di portata globale, soprattutto nel caso pandemico e della crisi militare-energetica, è emerso anche un lato lucido del nucleo di classi dirigenti europee, plurali e complesse. Non erano scontate l’unità e la compattezza dimostrate, rendendo unanimi e rapide le decisioni di volta in volta adottate, soprattutto in questo periodo di guerra. Una coesione che al suo interno si articolerà in compromessi tra gli interessi differenziati nazionali rispetto alla risposta da dare all’invasione, alla politica energetica comune da adottare e ai canali di interconnessione con la società russa da dismettere o mantenere; ma l’unità raggiunta è un imprescindibile dato di fatto. Una classe dirigente, d’altra parte non si forma in vitro, ma su grandi sfide da superare. La tragica sfida lanciata da Vladimir Putin ci ha aperto gli occhi sulla distanza abissale che separa l’autocrazia dalla democrazia, l’autocrate dalle élite democratiche non solo nel rapporto con i cittadini, ma con gli Stati sovrani vicini.

Putin, dopo Stalin, è la perfetta incarnazione del trasformismo dello zarismo russo e, come tutti gli autocrati, difetta d’informazione veritiera. Lo ha dimostrato con una probabile sottostima della capacità di resistenza ucraina. Soprattutto, ha sottovalutato il grado elevato di interconnessione sociale, culturale, commerciale, produttiva, tecnologica, finanziaria e umana tra la sua società e quella europea. Come ogni autocrate soffre di fobia da accerchiamento, è ossessionato dall’idea che il benessere del suo Stato dipenda dalla distruzione e dall’impoverimento di uno Stato sovrano vicino, anzi gemello nella storia. Un’idea simile di guerra, in Europa è stata bandita oltre 75 anni fa. Da allora, la stella polare è la ricerca di una fusione tra pace e democrazia, basata sull’idea che, in società interconnesse, il benessere del vicino accresce il proprio, mentre la volontà di potenza non può che infliggere morti e calamità sia ai vinti sia ai vincitori.

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