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La guerra in ucraina mette in crisi l’europa delle patrie

La visione intergovernativa si è rivelata inadeguata ad affrontare le emergenze energetiche e militari

di Sergio Fabbrini

(BLOOMBERG NEWS)

4' di lettura

Quando si getta un sasso nello stagno, si mettono in moto onde che non si sa dove si fermano. L’aggressione russa dell’Ucraina sta producendo onde imprevedibili all’interno della Unione europea (Ue). Quell’aggressione sta scuotendo equilibri consolidati, sia sul piano della politica che delle politiche pubbliche. Putin sta costringendo l’Ue a rivedere le proprie politiche di sicurezza (energetica, ambientale, militare), ma anche l’equilibrio politico (tra i principali partiti) su cui si erano basate. Mi spiego.

Dopo la fine della Guerra Fredda, l’Ue si è consolidata attraverso la convergenza tra due famiglie politiche, quella dei cristiano-democratici e quella dei social-democratici. Un equilibrio politico che ha replicato, a Bruxelles, quello praticato a Berlino. Le due famiglie hanno costituito, per trent’anni, il “centro politico europeo”, l’area che ha governato il processo di integrazione monetaria ed ha stabilizzato quello di integrazione economica.

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Nonostante il salto sovranazionale fatto con la creazione della Banca centrale europea, il centro politico europeo ha finito per svolgere le sue funzioni secondo una visione sempre più intergovernativa. Dopo l’unificazione del 1990, infatti, la Germania ha progressivamente abbandonato la sua visione sovranazionale (anzi, federale) del processo di integrazione, per fare propria la visione intergovernativa della cultura francese. Nella visione intergovernativa, l’integrazione va avanti attraverso il coordinamento volontario tra i governi nazionali, i quali continuano a costituire i pilastri dell’Ue. La logica del coordinamento volontario ha soddisfatto gli interessi dei grandi Paesi, ma ha anche tranquillizzato le paure dei piccoli Paesi (per i quali il potere di veto ha costituito l’assicurazione sulla vita). Tale visione intergovernativa ha reso possibile la differenziazione tra diversi regimi di politiche europee (come l’Eurozona o Schengen), proprio perché l’integrazione si è basata su accordi politicamente volontari e non (come nel mercato unico) su provvedimenti legislativamente vincolanti. Infatti, nel mercato unico non ci si è potuti differenziare (come hanno dovuto prenderne atto i britannici), mentre ci si è differenziati nelle politiche di sicurezza (militare, economica, territoriale).

Il contesto, però, è cambiato. Prima è arrivata la pandemia e quindi la guerra in Ucraina, con le loro conseguenze. La visione intergovernativa del centro politico europeo è stata messa in discussione. Non potevano essere i singoli governi nazionali a farsi carico della ripresa post-pandemica, né possono essere i singoli governi nazionali a farsi carico della sicurezza energetica e militare. Se un problema ha una scala europea, non può ricevere una risposta nazionale. Ma qui è caduto l’asino. La visione intergovernativa non aveva costruito sufficienti capacità centrali (a Bruxelles) per far fronte ai problemi comuni, mentre aveva continuato a rafforzare le capacità nazionali (nelle singole capitali). Ecco perché l’Ue è in ritardo nel rispondere alla crisi energetica. Di fronte all’inadeguatezza del centro politico europeo, la ricerca di nuovi equilibri politici si è messa in moto. A sinistra e a destra.

A sinistra, si consideri il discorso tenuto dal cancelliere socialdemocratico Olaf Scholz all’Universitas Carolina di Praga il 29 agosto scorso e della replica del presidente francese Emmanuel Macron il 1° settembre successivo. Scholz conferma la svolta (Zeitenwende) del suo governo nelle politiche dell’energia, della difesa e del commercio, aderendo alla proposta di Macron di costruire una sovranità europea. Ma non chiarisce cosa occorre intendere per sovranità, né lo fa Macron, se non ripetendo che l’Ue deve agire “in concerto”. Ma come si può agire in concerto quando gli stati membri dell’Ue hanno interessi diversi? Per avere una politica europea dell’energia (o della difesa, o del controllo delle frontiere), occorre dotare l’Ue di una capacità e di risorse autonome. Occorre andare oltre l’Ue intergovernativa, ma in quale direzione? A destra, si consideri le posizioni recenti dei cristiano-democratici di Manfred Weber. Costretti all’opposizione dei socialdemocratici in Germania e in Spagna, essi stanno cercando nuovi alleati tra i Conservatori nazionalisti europei (guidati dall’antirusso partito polacco Prawo i Sprawiedliwość di Jarosław Kaczyński e presieduti da Giorgia Meloni). Naturalmente, il tedesco Weber non potrebbe mai aprire agli estremisti di “Identità e democrazia” (dove siedono i tedeschi nazionalisti di Alternative für Deutschland, ma anche la filorussa Lega di Matteo Salvini). A sua volta, la guerra ucraina sta spingendo i Conservatori europei ad uscire dalla loro ideologia dell’”Europa delle patrie”, per aprirsi a forme più istituzionalizzate di cooperazione, nell’Ue e nell’Alleanza Atlantica. Dopo tutto, l’Europa delle Patrie non può fermare Putin, né liberare l’Ue dalla dipendenza energetica da Mosca. L’Italia del dopo 25 settembre potrebbe essere il laboratorio di tale nuova destra europea, atlantica e antirussa, incompatibile quindi con la russofila Lega (che dovrà essere collocata ai margini del processo decisionale). L’incontro tra le due destre potrà avvenire su una visione intergovernativa dell’Ue, così garantire la differenziazione tra diverse applicazioni dello stato di diritto da parte degli Stati membri (come rivendicano i polacchi). È accettabile per gli eredi di Angela Merkel?

Insomma, la guerra in Ucraina sta obbligando l’Ue a rivedere i propri equilibri politici e le politiche su di essi costruite. Non sarà un processo indolore, ma indietro è difficile tornare.

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