La guerra Usa-Cina si sposta sulle valute digitali. E la Fed pensa al dollaro digitale
La grande alleanza delle Banche centrali per le valute digitali. Al via il confronto tra Bce, Bank of England, Bank of Japan, Banca nazionale svizzera e la svedese Riksbank
di Pierangelo Soldavini
4' di lettura
Washington ha rimosso Pechino dalla lista dei Paesi sospettati di manipolare i cambi, pochi giorni dopo le due superpotenze hanno siglato l’armistizio sul fronte commerciale. Ma la guerra economica strisciante tra Usa e Cina rischia di spostarsi sulle valute digitali, che siano cripto o meno.
Secondo alcune indiscrezioni la Federal Reserve si starebbe preparando a prendere in contropiede i cinesi anticipandoli nella creazione di un “dollaro digitale”. L’obiettivo? Creare uno strumento economico che replichi in ambito digitale il predominio globale del vecchio biglietto verde cartaceo.
Banche centrali al lavoro per una cooperazione
Forse non succederà nei prossimi giorni, ma senza dubbio c’è grande animazione attorno alle valute digitali di Banche centrali. Il sigillo è arrivato da Basilea dove è nato un gruppo di lavoro in seno alla Banca dei regolamenti internazionali: Banca centrale europea, Bank of England, Bank of Japan, Banca nazionale svizzera e la svedese Riksbank - con la vistosa assenza della Fed - si confronteranno sui rispettivi progetti di valute digitali. Il gruppo, afferma un comunicato Bri, si concentrerà «sugli use case, le scelte di soluzioni economiche, funzionali e tecniche, inclusa l’interoperabilità cross-border e la condivisione delle esperienze sulle tecnologie emergenti». Il che sembra indicare che la via delle criptovalute non è certo esclusa.
D’altra parte è stato l’annuncio di Libra, la criptovaluta progettata da Facebook dalla quale questa settimana si è ritirata anche Vodafone, a innescare l’accelerazione dei progetti per la creazione di monete parallele, native digitali, emesse dalle stesse autorità di emissione delle valute “fiat”. A essere più avanti sembra essere la Cina, pronta a lanciare quella che sarebbe la prima criptovaluta di Stato nella prima metà del 2020.
Il bitcoin con il botto
La partenza delle valute digitali avrebbe effetti visibili anche sulle quotazioni della prima e più famosa criptovaluta, il bitcoin. Il quale ha iniziato ad anticipare un possibile annuncio per brindare al nuovo anno con un botto dei suoi, un balzo di oltre il 20%. Il 1° gennaio era scambiato a 7.200 dollari, il rimbalzo avviato settimana scorsa si è fermato solo di fronte alla resistenza a quota 9.000 dollari, fermandosi attorno a 8.600.
Era dal 2012 che non si vedeva un inizio d’anno così scoppiettante, ma allora, a soli due anni dal primo blocco lanciato dal misterioso Satoshi Nakamoto, il bitcoin era conosciuto solo da uno sparuto gruppo di entusiasti criptoesperti: oggi è un fenomeno da quasi 160 miliardi di
dollari di capitalizzazione, assunto agli onori delle cronache per le sue performance finanziarie che lo hanno portato nel 2017 da meno di 1.000 dollari al picco storico di 20mila, per poi crollare nei dodici mesi successivi fino a quota 3.000. Insomma uno strumento non per tutti, ad altissima volatilità ed elevatissimo rischio.
Il ritorno di fiamma delle quotazioni ha riportato un grande ottimismo sulle prospettive. Tanto che un recente sondaggio del trader Alex Kruger tra oltre 4mila operatori ha indicato che bitcoin potrebbe rivedere entro fine anno i massimi di 20.000 dollari. Ma c’è anche chi va ben oltre: Adam Back, crittografo britannico esperto di bitcoin e blockchain, si è messo a fare i conti indicando in 10 milioni di dollari la soglia potenziale (ma solo potenziale...) di valore della criptovaluta.
Oro digitale sempre più scarso
La criptovaluta ha beneficiato in questo primo scorcio d'anno anche del suo presunto ruolo di bene rifugio: sarà un caso, ma le tensioni tra Iran e Usa hanno soffiato nelle vele dell’oro fisico, salito ai massimi degli ultimi sette anni, ma anche di quello che da molti viene considerato l’“oro digitale”.
Tenendo anche conto che la scarsità della criptovaluta, su cui si fonda questa teoria, aumenterà quest’anno. Tra qualche mese, a maggio, si verificherà quello che nel criptogergo si chiama “halving”, vale a dire il dimezzamento della ricompensa per i “miners”, i certificatori delle transazioni di bitcoin. Il meccanismo di emissione monetaria ideato da Satoshi è rigidamente fissato e non può essere modificato: per tenere conto dell’aumento della capacità computazionale e per frenare gli effetti inflazionistici, periodicamente vengono dimezzati i bitcoin rilasciati per ogni blocco agganciato dai miners alla blockchain.
In buona sostanza i nuovi bitcoin “emessi” sono attualmente pari a 12,5 per blocco, ogni dieci minuti, a inizio maggio diventeranno 6,25. Storicamente ogni halving è stato preceduto da un rimbalzo di bitcoin. Anche perché i miners stessi cercano di sostenere le quotazioni in modo da compensare la riduzione del loro compenso per l’elevatissimo consumo energetico.
Il rimbalzo si è consolidato inoltre in coincidenza con la partenza settimana scorsa delle opzioni sul Cme, il maggior mercato globale di derivati, con volumi di trade che hanno fatto impallidire quelli sul Bakkt, il mercato future dell’Ice, basato sulla consegna fisica dei bitcoin. Il Cme prevede invece la liquidazione diretta in contanti: non sostiene quindi il mercato sottostante, ma ha l’effetto di facilitare le scommesse sul rialzo o sul ribasso di bitcoin. Un altro tassello che punta nel senso della maturazione del mercato delle criptovalute.
Per approfondire:
● Sugli undici anni del Bitcoin si allunga l'ombra della “balena”
● I bitcoin e le altre criptovalute: il borsino per essere aggiornati
● Cina, Svezia e Iran: tutte le Banche centrali che pensano alla loro Libra
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