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La Juventus nella bufera si salva con l’orgoglio. Un Napoli da 50 e lode

I bianconeri, dopo la penalizzazione, pareggiano 3-3 con l’Atalanta. Club colpevole o vittima della folle corsa del calcio internazionale?

di Dario Ceccarelli

Serie A, Napoli sempre più primo della classe

6' di lettura

Un’altra stangata, almeno in campo, non c’è stata. Come dice Allegri, un passo per volta. La Juventus, osservata speciale dopo la severa sentenza della Corte d’Appello federale (e il 5-1 incassato la settimana scorsa a Napoli), reagisce con orgoglio pareggiando (3-3) con l’Atalanta davanti a John Elkann e ai nuovi vertici schierati al completo come per il giuramento di un nuovo governo. L’ultima notizia porta anche la nomina di Francesco Calvo come nuovo responsabile dell'area sportiva. Avanti un altro, la giostra sembra non aver fine.

La protesta dei tifosi bianconeri

In uno stadio incandescente, con molti cori contro la Lega calcio e uno striscione invece molto critico degli ultrà («Dirigenti colpevoli, peggio che nel 2006»), la squadra di Allegri ha dignitosamente tenuto testa ai bergamaschi in vantaggio dopo neppure 5 minuti grazie a un destro di Lookman non trattenuto da uno Szczesny stranamente svagato. Una doccia fredda, che fa male, ma questa Juventus, compattata dall’orgoglio, reagisce prima pareggiando con Di Maria su rigore (25’) e poi realizzando il 2-1 con un destro al volo di Milik dopo una pregevole azione corale. Tutto a posto, ma niente in ordine. Perché nella ripresa i bianconeri incassano altre due reti nello spazio di sette minuti (Maehele e ancora Lookman). Anche in questo caso il carattere supplisce alla scarsa lucidità.

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E al 65’ Danilo realizza il pareggio sfruttando un’altra magia di Di Maria. Vedere Allegri che sul 3-3 salta dalla gioia come se avesse vinto la Champions dà bene l’idea di quanto fosse importante che da questa serata, un crash test di sopravvivenza, venisse dalla Juve un segno di risveglio. Se ci sei batti un colpo, si dice: bene, la squadra un colpo l’ha dato. Una apprezzabile reazione che però non copre l’inaccettabile fragilità difensiva. Otto gol incassati in due partite sono la spia di un pesante malessere tattico e psicologico cui bisogna subito rimediare se si vuole risalire dalla palude.

«Dobbiamo lavorare senza farci distrarre dalle cose esterne», precisa Allegri, cercando di isolare la squadra dalla tempesta. Che dire? Poveri tifosi juventini! Tutto rema contro: non solo si beccano 15 punti di penalizzazione (con le altre inchieste come ombre sullo sfondo) ma per un feroce contrappasso devono sopportare un carico ancor più pesante: e cioè che a rappresentarli pubblicamente sia proprio quel Max Allegri che avrebbero volentieri scacciato via a pedate nel sedere. Ora in questo guazzabuglio dove nessuno si salva (in questo la Juve ha parzialmente ragione), e dove i nuovi vertici bianconeri hanno il carisma dei gattini ciechi, il perfido Max diventa il deus ex machina di una gloriosa società che, lo ricordiamo, il prossimo 24 luglio «festeggerà» il centenario della Juventus a guida Agnelli.

Una beffa, insomma. Una delle tante che colpisce il calcio italiano, sbatacchiato a destra e sinistra come una barchetta in mezzo al mare. Diciamolo pure: a parte il magnifico girone d’andata del Napoli, che rischia in questo parapiglia di passare in secondo piano, il panorama del nostro pallone è desolante. Lasciando da parte la Nazionale (fuori da due Mondiali consecutivi), lo stato dell’arte del gioco più amato dagli italiani è vicino allo sprofondo. Tra deficit e bilanci in rosso, plusvalenze fittizie e vecchi dinosauri stranieri che soffocano la crescita dei nostri giovani talenti, non stupisce che debba intervenire il governo a mettere delle pezze nei buchi contabili. A parte che quei soldi sono di noi tutti, viene da chiedersi quanto si possa andare avanti facendo finta che tutto va bene.

È difficile dare un giudizio equilibrato sulla bufera che ha investito il club bianconero, soprattutto prima di aver letto le motivazioni della sentenza, ma una cosa emerge con crudele chiarezza: che la Juventus, qualsiasi cosa abbia fatto, lo ha colpevolmente fatto per stare dietro a una folle escalation non più sopportabile. Come fai a essere competitivo nel calcio europeo se ti devi confrontare con club europei potentissimi che possono permettersi, grazie alla cascata di denaro degli emiri, il meglio che c’è sulla piazza? Chiaro che se vuoi competere con squadroni che hanno Neymar, Messi e Mbappè in attacco, devi per forza, a qualsiasi prezzo, assicurarti altri «pezzi» di mercato altrettanto credibili e competitivi.

Una folle corsa che ha portato allo schianto

Vogliamo dirla tutta? Quanto ha inciso tutta la vicenda di Ronaldo nei guai della Juventus? Quanto le è costato dover centrare a tutti costi il traguardo della Champions? La verità vera è un’altra: che il nostro calcio non ce la fa più a reggere questi livelli. Prima sbanda e poi si schianta. Come la Juventus, che tra le sue colpe, al di là dei 15 punti di penalizzazione, ha quella di essere recidiva. Non a caso la metà dei club italiani viene acquistato da fondi stranieri o da potenti magnati che investono anche in altri sport . Noi siamo poveri e vogliamo fare i ricchi. Miseria e nobiltà. Come nei vecchi film di Totò, ci interessa solo l’apparenza. E non è solo un problema degli Agnelli che, prima o poi, dovranno fare veramente i conti sul fatto se abbia un senso o no continuare nella loro storica missione.

Da tempo il calcio milanese non è più guidato da presidenti italiani. Massimo Moratti, dopo anni splendidi, ha dovuto cedere passo. Lo stesso Berlusconi, che negli anni Ottanta era entrato nel calcio con la potenza delle sue televisioni, ha dovuto lasciare il Milan a un misterioso imprenditore cinese che per poco non lo ha fatto fallire. A Roma per la Lazio c’è Lotito che tiene duro, ma la «Magica» è già da tempo americana. E infatti si è potuta permettere il vate Mourinho e quel Dybala tenuto ai margini dalla Juventus per far piacere a Ronaldo. Concludiamo con un dettaglio che non è trascurabile: chi semina vento raccoglie tempesta. Forse, in un contesto così difficile, i vertici della Juventus avrebbero potuto assumere atteggiamenti più adeguati, meno da signori delle ferriere. Anche il «tentato golpe» del campionato europeo dei grandi club non ha aiutato. Fare i primi della classe, soprattutto quando non lo si è più, non aiuta a risolvere i problemi. Si diventa antipatici. E poi, quando vai al tappeto, te la fanno pagare ancora di più.

Napoli a quota 50

In questi chiari di luna, c’è ancora qualcuno che canta. È il Napoli di Luciano Spalletti che dopo aver battuto la Salernitana (2-0) chiude il torneo d’andata a quota 50 punti. Non era mai accaduto nella storia partenopea. Un cammino straordinario con 16 vittorie in 19 partite che fa aumentare a + 12 il distacco del Napoli dal Milan (che gioca martedì contro la Lazio) e a +13 dall’Inter impegnata questo sera contro l’Empoli. Una straordinaria impresa, quella di Osimhem e soci, che dovrebbe garantire un girone di ritorno senza troppe sorprese, considerando che uno dei quattro amici al bar, la Juventus, è stata ricacciata a metà classifica. Tutto questo polverone, e quello che succederà in futuro, non deve però assolutamente «oscurare» la bellezza del Napoli. Che ha incantato per il suo gioco e la sua capacità di far spettacolo.

Milan e Inter, rincorsa ad ostacoli

Al momento le due squadre milanesi sono le uniche che possono ancora ostacolare la corsa del Napoli. Un’ipotesi remota, però. La squadra di Pioli è messa male. E lo si è visto nella disastrosa finale di Supercoppa a Riad. Gambe molli, morale a terra, occhi nel vuoto. Non sarà facile venire fuori, anche se il Diavolo resta sempre secondo in classifica. Come il Partito Democratico, è sul lettino dello psicanalista. Fortunatamente non deve fare le primarie. L’Inter sta meglio: Lautaro è rigenerato, tutto sembra girare come ai vecchi tempi, anche se la probabile perdita di Skriniar si farà sentire. Resta una riserva: i nerazzurri non sono continui. Leoni negli scontri decisivi, pecorelle nella routine. Per rincorrere il Napoli serve un altro passo.

Lo sport fa male?

I recenti lutti nel calcio, in particolare quelli di Vialli e Mihalovic, hanno riaperto un tema sotto traccia e molto controverso: quello dei farmaci proibiti nel calcio e nello sport. È un tema controverso perché nel calcio, a differenza che nel ciclismo e nell’atletica o altre discipline di fatica, i controlli sono sempre stati meno rigorosi. Ci sono molto sussurri e grida, e pochi dati reali. Senza voler qui entrare nella differenze tra sport di resistenza prolungata e altri come il calcio, che invece si concludono in novanta minuti, va ricordato che il vero problema è la giostra delle meraviglie che non può mai fermarsi. Ai campioni non è mai concesso dare forfait, soprattutto per un infortunio prolungato. Marco Tardelli ha ragione quando dice che ai suoi tempi è stato costretto a giocare anche quando non avrebbe dovuto. Soldi, sponsor, contratti, aspettative dei tifosi: tutto contribuisce. La pressione è enorme. Gli interessi pure. Pensiamo a Diego Armando Maradona, osannato e martirizzato: quante volte è sceso in campo nonostante avesse la schiena a pezzi? Anni dopo, come ha fatto Dino Baggio, ci si spaventa, si grida al lupo. Ma forse è meglio farlo prima.


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