La lezione di De Gasperi: l’Europa unita e il ritorno della guerra
Pubblichiamo le conclusioni della Lectio degasperiana, promossa dalla Fondazione Alcide De Gasperi, che Sergio Fabbrini terrà il 18 agosto a Pieve Tesino
di Sergio Fabbrini
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Naturalmente, non si tratta di finire nel vicolo cieco di una nuova guerra fredda. Il rapporto con la Russia (o con la Cina) non dovrà sostanziarsi in un confronto esclusivamente militare, ma dovrà preservare o promuovere tutte le occasioni per scambi economici e culturali con loro. Tuttavia, l’Europa integrata non deve essere più ricattabile, sul piano delle risorse energetiche o degli scambi industriali, dai regimi autoritari. L’interdipendenza dovrà approfondirsi al suo interno, ma alleggerirsi al suo esterno (con i regimi autoritari). La globalizzazione dovrà divenire selettiva.
Se la guerra è una minaccia permanente, e se l’America sta rivolgendo sempre di più la sua attenzione in Asia, allora è necessario che l’Europa integrata si assuma il problema di garantire la propria sicurezza. Senza una efficace capacità di auto-difesa, l’Europa integrata non potrà difendere le sue libertà, la sua democrazia, il suo welfare. Capacità di auto-difesa che potrà essere garantita solamente da un’organizzazione sovranazionale. Tuttavia, contrariamente al progetto del 1952, la difesa europea non dovrà basarsi sulla fusione delle difese nazionali, bensì dovrà caratterizzarsi come un nucleo di capacità e risorse che si aggiunge a queste ultime, con lo scopo di garantire la difesa collettiva. Gli stati possono conservare le loro difese nazionali per fronteggiare sfide locali, anche se esse dovranno essere razionalizzate così da non ostacolare la difesa comune. La difesa europea dovrà agire in coordinamento con la Nato, come sostenuto con insistenza da De Gasperi. Essa dovrà riflettere la visione strategica dell’Europa integrata, cui dovrà corrispondere una politica industriale europea per tecnologie di rilevanza militare. L’autonomia strategica dell’Europa integrata richiederà la costruzione di un’autorità di politica estera, così come la difesa comune richiederà l’esistenza di un’autorità di politica militare. Nello stesso tempo, non si potrà parlare di una politica estera e di difesa europee senza la creazione di un budget europeo con cui sostenerle, alimentato da risorse fiscali autonome e non da trasferimenti finanziari nazionali. L’autonomia strategica implicherà anche la necessità di parlare con una voce singola all’interno delle organizzazioni internazionali, a cominciare dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite.
Come sottolineato da Spinelli e condiviso da De Gasperi, le nuove autorità di politica estera e di difesa dovranno essere parte di un’unione politica più ampia che garantisca la loro legittimità democratica, oltre che il loro rendiconto politico. Oggi sappiamo ciò che non era evidente nel 1952, ovvero che un’unione politica non abbisogna di divenire uno stato per poter esercitare i suoi compiti autoritativi. Essa dovrebbe acquisire le caratteristiche di un’unione federale, non già di uno stato federale. Infatti, uno stato federale che organizza la vita di centinaia di milioni di abitanti condurrebbe ad una accumulazione di potere tale da minacciare le libertà individuali. Per questo motivo, un’unione federale assegna al centro federale competenze esclusive solamente sulle materie che riguardano la sicurezza collettiva (da quella militare a quella monetaria), riconoscendo agli stati federati competenze su questioni non rilevanti collettivamente. Naturalmente, tale distribuzione di competenze sarà oggetto di continua negoziazione tra i livelli di governo, richiedendo la disponibilità di questi ultimi al costante compromesso. Sia i governi federati che le autorità federali dovranno essere legittimati elettoralmente, oltre che supervisionati dalle rispettive corti costituzionali.
Come De Gasperi aveva chiaro, l’unione tra stati non implica la soppressione del sentimento nazionale. Disse nel 1950, «badate bene che quando diciamo che non siamo nazionalisti (…) non diciamo qualche cosa che limiti le nostre forze reali, che diminuisca, comprima e deprima il nostro sentimento nazionale». Nel nostro caso, l’unione federale richiede identità multiple, non già la sostituzione di un’identità nazionale con un’identità europea. Seppure siano l’esito di un’invenzione, gli stati europei hanno profonde radici nei simboli e nelle relazioni dei loro cittadini. Non si tratta di cancellare una storia, ma di aggiungerne un’altra, creando una cittadinanza europea di nazionalità distinte. Il nazionalismo è incompatibile con l’unione federale, ma non lo sono le identità nazionali intese come sistemi aperti di esperienze e memorie. L’identità europea, invece, dovrà basarsi necessariamente sulla condivisione di valori politici, gli unici che possono unire vicende culturali o religiose diverse. Ciò che dovrà tenere insieme l’unione federale è la condivisione dei principi liberali dello stato di diritto e delle libertà individuali e i principi della divisione dei poteri che garantiscono la democrazia politica.
Sappiamo che diversi governi nazionali dell’Europa integrata (nell’Europa dell’est) non condividono quei principi. Sappiamo anche che altri governi nazionali (dell’Europa del nord) hanno aderito all’Europa integrata per ragioni esclusivamente economiche, ed altri governi nazionali (nei Balcani occidentali) vi aderirebbero per ragioni opportunistiche. L’unione federale non emergerà da uno sviluppo biologico, né potrà dipendere dalle idiosincrasie dell’uno o dell’altro governo nazionale. Come sostenne De Gasperi nel 1952, un’unione tra stati richiede un preliminare atto «di volontà politica (…) per realizzarsi», un atto attraverso il quale gli stati coinvolti riconoscono che vi sono sfide che non possono affrontare da soli. O come scrisse Spinelli nel 1950, «Le federazioni sono sempre nate e possono nascere solo come patti tra gli stati, i quali decidono di rinunziare inequivocabilmente a certi attributi sovrani», pur mantenendo per sé altri attributi sovrani.
È poco plausibile raccogliere tali differenti visioni dell’Europa all’interno di un unico progetto istituzionale. Occorrerebbe, piuttosto, organizzare contenitori diversi per visioni diverse. Non mancano le proposte. È possibile ipotizzare l’esistenza di una comunità degli stati europei, una confederazione allargata a buona parte agli stati del continente che, basata su un Consiglio europeo dei capi di governo, affronti temi come l'energia, i trasporti, la ricerca; una comunità economica, coincidente con gli stati che oggi condividono il mercato comune e ne rispettano il sistema sovranazionale triangolare; una unione federale, una federazione europea costituita dai “Paesi del 1952” più quelli che ne condividono l'ispirazione federale (come la Spagna), cui devolvere il governo delle politiche di sicurezza (da quella militare a quella monetaria). Il futuro dell’Europa dovrà essere necessariamente plurale.
In conclusione, l’europeismo di De Gasperi e Spinelli parla al futuro dell’integrazione, non solo al suo passato. Esso dovrebbe anche caratterizzare l’orizzonte della politica italiana, indipendentemente dai governi in carica, in quanto ci ricorda che fuori dall’Europa non c’è un futuro per l’Italia.
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