ServizioContenuto basato su fatti, osservati e verificati dal reporter in modo diretto o riportati da fonti verificate e attendibili.Scopri di piùLa reazione europea

La logica comune per affrontare le crisi

Per la Ue serve una (seppure limitata) sovranità fiscale e militare, con legittimazione democratica

di Sergio Fabbrini

(Adobe Stock)

4' di lettura

Dall’inizio del decennio scorso, quasi senza respirare, l’Europa è passata da una crisi a un’altra. Prima la crisi dei debiti sovrani, poi la crisi migratoria, poi la pandemia, poi l’aggressione russa dell’Ucraina, poi la crisi militare ed energetica. Certamente, nonostante la magnitudine di quelle crisi, le istituzioni europee si sono dimostrate resilienti nell’affrontarle. Un risultato non da poco, ma non basta. Occorre capire le differenze tra di esse, in particolare la discontinuità introdotta dalla guerra in Ucraina. Quest’ultima, infatti, va al cuore del modello di sviluppo europeo. Mi spiego. Le crisi non sono tutte uguali. Vi sono crisi (le più comuni) che consistono nella messa in discussione di un equilibrio di forze all’interno di una struttura (che rimane invariata) di politica pubblica o di sviluppo economico. Vi sono crisi (le più rare) che consistono, invece, nella messa in discussione di quella doppia struttura. Chiamo le prime come crisi “distributive” (o redistributive), le seconde come crisi “costitutive” (o strutturali).

La crisi dei debiti sovrani e la crisi migratoria sono state crisi distributive, in quanto hanno contrapposto gli stati membri dell’Unione europea (Ue) relativamente a chi dovesse farsene carico. La crisi dei debiti sovrani ha contrapposto gli stati del nord e del sud dell’Eurozona (relativamente alle politiche di risanamento o austerità), la crisi migratoria gli stati dell’ovest e dell’est (relativamente alla redistribuzione dei rifugiati). In entrambi i casi, si è manifestato un contrasto distributivo tra stati, all’interno di un predominante modello di politica pubblica. Tuttavia, quando è esplosa la crisi pandemica, l’insoddisfacente soluzione redistributiva fornita (in particolare) alla crisi dei debiti sovrani ha obbligato l’Ue a rivedere quel modello di politica pubblica. Infatti, la soluzione redistributiva della crisi dei debiti sovrani, favorendo i Paesi creditori del nord, aveva condotto alla rivolta populista nei Paesi debitori del sud, rivolta che aveva delegittimato il principio ispiratore di quel modello (secondo cui spetta al singolo stato rispondere alla crisi). Di qui, la scelta di ricorrere (con Next Generation Eu) a una responsabilità collettiva, e non più dei singoli stati, creando debito comune per sostenere la ripresa e la resilienza post-pandemica di questi ultimi. Per prevenire un conflitto redistributivo sulle risorse esistenti, dunque, si sono create nuove risorse (garantite dall’Ue e da tutti i suoi stati membri). L’Ue ha anche avviato una revisione della sua politica industriale, riportando in Europa, ad esempio, la produzione di mascherine e respiratori che era stata in precedenza allocata nei paesi asiatici (Cina, in particolare). Cambiamenti importanti che hanno favorito la revisione del modello predominante di politica pubblica, ma su un programma ad hoc e delimitato nel tempo (fino al 2026).

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Tale delimitazione è stata però messa in discussione dalla crisi in Ucraina. Come ha scritto l’Economist del 26 novembre, le conseguenze dell’aggressione russa dell’Ucraina hanno infatti mostrato «la vulnerabilità del business model adottato in Europa». Un business model basato sulla dipendenza militare dalla Nato (per garantire la sicurezza), sulla dipendenza energetica dalla Russia (per garantire la produzione) e sulla dipendenza commerciale dalla Cina (per garantire la crescita). La crisi in Ucraina ha intaccato la costituzione materiale del modello di sviluppo europeo del dopo-Guerra Fredda, come nessuna crisi precedente aveva fatto. Una crisi costitutiva (strutturale) può condurre a conflitti redistributivi di breve periodo, ma la sua soluzione non può risiedere nell’esito di quei conflitti (qualsiasi esso sia). La sua soluzione risiede piuttosto nella riorganizzazione di medio periodo del modello di politica pubblica e di sviluppo dell’Ue. Sarebbe un errore pensare di uscire da questa crisi massimizzando il proprio interesse nazionale a scapito dell’interesse dei propri vicini, perseguendo strategie unilaterali o promuovendo accordi bilaterali, perché ciò accentuerebbe la crisi invece di risolverla. Una crisi che colpisce un modello di sviluppo condiviso da tutti i Paesi membri dell’Ue richiede, per essere superata, una revisione dei presupposti strutturali di quel modello. Occorre liberare quest’ultimo dalla esclusiva dipendenza dall’energia a basso costo della Russia, dalla esclusiva dipendenza militare americana e dall’altrettanto esclusiva dipendenza commerciale dal mercato cinese. Per fare ciò, occorrono risorse finanziarie e capacità decisionali europee con cui costruire infrastrutture transnazionali per sostenere la transizione energetica delle economie nazionali, con cui dare vita a un sistema di difesa europeo autonomo da quelli nazionali, con cui rafforzare il mercato unico completando l’unione bancaria e del mercato dei capitali. Obiettivi che non possono essere raggiunti coordinando le distinte politiche nazionali. Se si vuole affrontare una crisi strutturale, occorre piuttosto dotare l’Ue di una (seppure limitata) sovranità fiscale e militare, sovranità giustificate da adeguati meccanismi di legittimazione democratica.

Insomma, la crisi pandemica e soprattutto la crisi in Ucraina hanno messo in discussione la struttura sia del modello di politica pubblica che di sviluppo adottati in Europa nel dopo-Guerra Fredda. Una crisi transnazionale richiede una risposta sovranazionale, per promuovere la riorganizzazione di quei modelli e per governarne le inevitabili conseguenze sociali. La crisi è comune, va affrontata con una logica comune.

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