La lotta al climate change deve fare i conti con i nazionalismi e i conflitti
Le tensioni politiche come quella esplosa in Ucraina rendono difficile la collaborazione per le azioni di contrasto: impatti irreversibili
di Elena Comelli
4' di lettura
L’attacco russo all’Ucraina non farà bene all’ambiente e al clima. Lo spiega con chiarezza l’ultimo rapporto dell’Ipcc, pubblicato dal Gruppo intergovernativo sui cambiamenti climatici sotto l’egida dell’Onu il 28 febbraio, proprio mentre l’attenzione del mondo intero è concentrata sulla guerra in corso.
Compilando questo rapporto di 3.500 pagine, le centinaia di scienziati dell’Ipcc non potevano immaginare con quale situazione avrebbero dovuto confrontarsi, ma nel rapporto salta all’occhio una considerazione profetica: tra gli scenari peggiori analizzati in prospettiva c’è un mondo in cui «il nazionalismo in ripresa, i conflitti e le preoccupazioni per la competitività e la sicurezza» rendono quasi impossibile la collaborazione globale per far fronte all’emergenza climatica.
La previsione, puntualmente, si è avverata. In un momento come questo si dimostra che in caso di conflitto le preoccupazioni per il clima passano completamente in secondo piano, tanto che si parla di riaccendere le centrali a carbone e di estrarre tutto il gas possibile dai giacimenti nazionali, pur di alimentare in qualche modo il sistema energetico in caso di blocco alle forniture di gas russo. Non un pensiero alle possibili alternative, dalle fonti rinnovabili su larga scala alla riduzione programmata dei consumi energetici.
Il surriscaldamento accelera
Il rapporto Climate Change 2022: Impacts, Adaptation and Vulnerability, invece, ammonisce sulla straordinaria accelerazione del surriscaldamento del clima registrata nell’ultimo decennio e si concentra sull’impatto sempre più devastante sulla società umana, colpita da ondate di calore, incendi e inondazioni. La versione precedente di questo rapporto, del 2014, versava molto inchiostro sugli impatti previsti, mentre il nuovo report dedica pagine e pagine ad eventi già accaduti.
Gli scienziati dell’Ipcc definiscono «irreversibili» alcuni di questi impatti e calcolano che ormai 3,6 miliardi di persone vivono in ambienti «altamente vulnerabili ai cambiamenti climatici». Per gli scienziati dell’Ipcc il mondo non sta riducendo le emissioni di gas serra abbastanza velocemente, il che rende l’adattamento ai cambiamenti climatici più importante, ma anche più difficile.
Le nazioni si stanno muovendo troppo lentamente per contenere gli effetti catastrofici, che colpiscono già ora in maniera devastante la vita di molte persone. La mortalità umana legata al calore è aumentata. Gli eventi meteorologici estremi e le temperature hanno esposto milioni di persone all’insicurezza alimentare e alla malnutrizione. L’agricoltura, il turismo e altri settori sensibili al clima stanno registrando perdite gravi. La pesca è in calo in molte regioni. Le migrazioni legate alla crisi del clima sono in aumento. Insomma l’emergenza climatica non è un problema del futuro, ma di oggi.
Mediterraneo fragile
Il rapporto, basato su una sintesi di 34.000 articoli scientifici, si suddivide in analisi regionali e per la prima volta c'è un focus specifico sul Mediterraneo. «La regione mediterranea si è riscaldata e continuerà a riscaldarsi maggiormente della media globale, particolarmente in estate. Questo vale sia per l'ambiente terrestre che per quello marino, sia per le temperature medie che per le ondate di calore», spiega Piero Lionello, professore all'università del Salento ed esperto del Centro Euro-Mediterraneo sui Cambiamenti Climatici, fra gli autori principali del rapporto.
«La regione diventerà più arida per effetto combinato della diminuzione della precipitazione e dell'aumento dell'evapotraspirazione. Allo stesso tempo in alcune aree le precipitazioni estreme aumenteranno. Il livello del mare salirà seguendo l'aumento del valore medio globale. Un aumento irreversibile e progressivo su scale plurisecolari», fa notare lo scienziato.
Il livello del mare nel Mediterraneo si è già innalzato di 1,4 millimetri all’anno nel corso del XX secolo. L'aumento si è accelerato alla fine del secolo e ci si attende che continui, raggiungendo valori prossimi al metro nel 2100, in caso di un alto livello di emissioni.
L’adattamento necessario
L’aumento del livello del mare, avverte l’Ipcc, continuerà nei prossimi secoli, anche nel caso le concentrazioni di gas serra in atmosfera si stabilizzino. «L’innalzamento del livello del mare ha già un impatto sulle coste del Mediterraneo e in futuro aumenterà i rischi di inondazioni costiere, erosione e salinizzazione. Le coste sabbiose strette, che sono di grande valore per gli ecosistemi costieri e per il turismo, sono a rischio di scomparsa», ammonisce Lionello.
L'adattamento include opere ingegneristiche (di varia scala) e sistemi soft/ecosistemici, oltre all'arretramento della linea di costa. Le opere ingegneristiche, nonostante la loro efficienza, hanno però effetti negativi sugli ecosistemi, sull'attrattività turistica e sui costi economico-finanziari, il che le rende interessanti solo per le zone più densamente popolate.
Non sempre, peraltro, le azioni di adattamento funzionano. A volte, avverte il rapporto, sono addirittura controproducenti: ad esempio le dighe e altre infrastrutture protettive, se non costruite su scala sufficientemente ampia, possono finire per intrappolare le inondazioni nelle città, come è successo a New Orleans dopo l'uragano Katrina.
Non perdere la speranza
«In molti paesi del Mediterraneo, la pianificazione territoriale non risulta prendere in considerazione la possibilità di marcati aumenti del livello del mare», avverte il rapporto.
L’Ipcc invita però a non perdere la speranza: «Ci sono soluzioni per adattarsi a un clima che cambia. Questo rapporto fornisce nuovi approfondimenti sul potenziale della natura non solo per ridurre i rischi climatici, ma anche per migliorare la vita delle persone».
Conclude Hans-Otto Pörtner, ecologo tedesco e co-presidente del gruppo di lavoro che ha stilato il rapporto: «Ecosistemi in salute sono più resilienti di fronte ai cambiamenti climatici e forniscono servizi essenziali per la vita, come cibo e acqua. Ripristinando gli ecosistemi degradati e conservando efficacemente ed equamente il 30-50% degli habitat terrestri, d'acqua dolce e marini, le società umane poreanno trarre beneficio dalla capacità della natura di assorbire e immagazzinare carbonio. In questo modo possiamo accelerare il progresso verso lo sviluppo sostenibile, ma sono essenziali finanziamenti adeguati e sostegno politico».
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