La manager delle reti «Via dagli Usa, qui c’è tutto ciò che serve»
di Andrea Biondi
3' di lettura
«Ho messo tutte le cose in due valigie grandi grandi. E sono venuta in Italia». Sorride Nadia Benabdallah mentre racconta il momento in cui lasciava gli Stati Uniti per approdare nell’allora Omnitel, in seguito acquisita da Vodafone. La sua è una risata con la erre arrotondata e la sonorità dolce del Maghreb. Nata ad Algeri, da famiglia di origine berbera, ha girato per il mondo seguendo i genitori.
E la storia di Nadia Benabdallah rappresenta nella sua tanta o poca semplicità, a seconda dei punti di vista, una trama tipica di tanti che per vicissitudini della vita hanno incrociato i propri destini con Milano, ma senza poi più distaccarsene. «L’ho sentita subito vicina come città, culturalmente ed emotivamente». Risultato? «Da quando sono in Italia non mi è mai mancato il mondo di prima. E a Milano ho trovato tutto ciò che può portare a immaginare una vita soddisfacente».
Nadia Benabdallah è Group Network Engineering Director di Vodafone, la multinazionale delle Tlc con sede a Londra da 45 miliardi di euro di fatturato nel suo ultimo anno fiscale. Guida un team di oltre 2.500 persone su 12 mercati, realizzando più di 1.500 progetti all’anno occupandosi di strategia, architetture, innovazione, pianificazione, progettazione, ingegnerizzazione, test, fornitura e ottimizzazione di servizi voce e dati fosso e mobile, soluzioni di rete evolute e nuovi prodotti per soddisfare le esigenze di oltre 140 milioni di clienti che utilizzano i servizi di connettività mobile, fissa, Tv e internazionale. E, solo per dirne una, a livello di gruppo occupandosi anche di rete dati nel 2020 ha dovuto affrontare la grande sfida dell’esplosione dello smart working, che ha moltiplicato il fabbisogno di banda dati di tutti i Paesi.
Grandi sfide che affronta ponendo sempre grande attenzione alle persone del suo team, un approccio che la accomuna alle donne manager che aderiscono con lei alla community “She leads”, promossa da Your Business Partner.
Dopo la laurea, il master in ingegneria elettronica alla George Washington University. E in mezzo a prime esperienze lavorative nel mondo della consulenza «in cui in ambito Tlc ho potuto conoscere meglio sia il versante fornitori sia quello operatori» arriva la proposta nel ’94, a 26 anni, di lasciarsi alle spalle 18 anni di vita negli Usa e andare in Italia. «Si trattava del progetto Omnitel Pronto Italia, per lanciare i servizi di telefonia mobile in otto città. Si trattava del primo competitor al monopolista Telecom Italia Mobile».
Dura due anni quella prima esperienza. Che poi però le viene nuovamente prospettata, in chiave più “definitiva”. È allora che prende le sue valigie «grandi grandi» e ci mette «tutta la mia vita». Non c’è stato solo un motivo professionale, confessa, visto che in Italia viveva quello che poi è diventato suo marito (Fabrizio Rocchio, ex Cto di Vodafone Italia che dall’1 aprile ha assunto il ruolo di Network Development Director in Vodafone Group).
«Prima di venire in Italia mi dicevano: “Ma sei pazza? Lì farai mai carriera”. Niente di più sbagliato». Il Paese e Vodafone come azienda le hanno dato soddisfazioni. «In Vodafone sono diventata dirigente dopo un anno e mezzo». Quanto all’Italia, la visuale è quella di chi vive a Milano, «la città più internazionale, cosmopolita, tollerante».
E se è vero che il gruppo ha permesso a Nadia Benabdallah di guidare dal Milano e non dall’headquarter di Londra il suo team, è anche vero che la manager in Italia dice di aver trovato tutto ciò che serve, anche sul fronte della «ricerca e dell’università. Abbiamo contatti con tutte le università d’Italia e Milano e Torino sono i bacini più importanti da cui attraiamo giovani ben skillati. Non è la materia prima che manca».
Insomma, anche se l’Italia viene bollata per la sua arretratezza digitale ogni anno dal Desi della Commissione Ue, la manager che in un gruppo tecnologicamente avanzato come Vodafone si occupa della frontiera più avanzata delle applicazioni della tecnologia (le reti), riconosce che l’Italia - e Milano come capofila - hanno caratteristiche peculiari e positive quando si parla di innovazione e ricerca.
«In Italia c’è un modo più informale di fare le cose, una forte curiosità intellettuale, una tendenza a sperimentare molto. Tante delle nuove tecnologie come gruppo le esploriamo assieme in Italia per esportarle poi nel resto dei Paesi del Gruppo». Ma quindi dove si nascondono gli inciampi? «Alle volte è come se mancasse un po’ di ambizione nell’innovazione. Ci si accontenta dei risultati raggiunti. Ma questo, quando si parla di innovazione, è controintuitivo. A mio parere invece serve puntare di più a una vera e propria “prioritizzazione” dell’innovazione». Detto da chi lavora in quest’ambito ai massimi livelli, e ha scelto di farlo dall’Italia, forse è indicazione da non far cadere del tutto.
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