La marcia verso la sostenibilità di debiti e crescita passa anche da regole più semplici
La novità di maggior rilievo è il tentativo di applicare il metodo del recovery al campo fiscale
di Marcello Messori
5' di lettura
Nella Comunicazione di ieri, la Commissione ha proposto un ridisegno della governance economica dell’Unione europea (Ue) che mira a rendere compatibili la sostenibilità dei debiti pubblici nazionali e la crescita sostenibile di ciascun Paese dell’area. Va detto subito che, grazie a una dettagliata riforma delle regole fiscali e all’abbozzo di nuove procedure di aggiustamento degli squilibri macroeconomici, la Comunicazione offre ingredienti decisivi per realizzare questo ambizioso obiettivo.
Con riferimento agli aggiustamenti degli squilibri macroeconomici, l’aspetto più promettente riguarda l’impegno per una stretta integrazione con il quadro fiscale. Le novità, introdotte rispetto al vecchio “Patto di stabilità e crescita”, sono invece più d’una. Quella che salta maggiormente agli occhi è lo sforzo di semplificazione rispetto all’attuale groviglio di vincoli e di soglie quantitative spesso inapplicabili, che ha indotto comportamenti opportunistici e raramente sanzionati da parte di un consistente numero di Stati membri della Ue.
La novità più importante concerne, tuttavia, il riuscito tentativo di applicare il metodo della Recovery and resilience facility (Rrf) al campo fiscale. Nel nuovo quadro, i Paesi della Ue con alto stock di debito pubblico sono sollecitati dalla Commissione a seguire percorsi specifici di riduzione del loro debito e di limitazione del loro deficit pubblico nominale rispetto al Pil al di sotto della soglia del 3% per un prolungato lasso di tempo. Essi devono definire e realizzare i nuovi piani quadriennali, i connessi impegni decennali e le leggi annuali di bilancio che specificheranno tali percorsi ottemperando ai criteri di rientro fissati dalla Commissione. I Paesi con basso stock di debito pubblico devono, invece, mantenere i loro deficit annuali al di sotto della soglia del 3% per un prolungato lasso di tempo. Pertanto, come nel caso del Rrf e dei connessi Piani nazionali, ciascun Paese della Ue è chiamato a rispettare, in modo cogente, gli specifici impegni assunti.
Le considerazioni fatte suggeriscono che i rapporti bilaterali fra istituzioni europee e ogni Stato membro sono sottoposti a un’equilibrata combinazione di regole e scelte discrezionali. La Commissione è tenuta a inserire ciascun Paese in uno di tre gruppi omogenei basati su determinate soglie quantitative del rapporto debito pubblico/Pil (eccessi sostanziali, eccessi moderati, assenza di eccessi rispetto, presumibilmente, alla preesistente soglia del 60% che non subirebbe modifiche); e, assumendo come indicatore privilegiato la spesa pubblica netta, essa valuta la conformità ai criteri predefiniti degli specifici percorsi nazionali di rientro. D’altro canto, su richiesta dei singoli Paesi, la stessa Commissione ha la facoltà di concedere dilazioni nell’aggiustamento del debito pubblico entro margini temporali limitati al fine di consentire la realizzazione di investimenti e riforme cruciali per una crescita sostenibile di medio periodo. In questo modo, si crea un possibile spazio per quella importante quota di sostegni agli investimenti e alle riforme, che non sarà coperta dai fondi europei dopo il 2026, ma che sarà comunque essenziale per portare a compimento le transizioni “verde” e digitale e per garantire l’inclusione sociale che sono i pilastri di Next Generation – Eu e del programma della Commissione europea.
Gli aspetti fin qui esaminati costituiscono punti di forza nel ridisegno della governance economica e fiscale europea. Sarebbe ovviamente possibile avanzare critiche di dettaglio anche in un quadro così positivo. Per esempio, l’uso della spesa primaria corretta rispetto alle fasi cicliche e agli aggiustamenti discrezionali delle imposte appare ridondante, se non distorsiva. Anziché soffermarsi su dettagli della riforma europea delle regole fiscali che – per quanto importanti – subiranno modifiche nel corso della discussione fra Stati membri e all’atto dell’auspicabile approvazione da parte del Consiglio della Ue, vale la pena affrontare un tema più generale: come assicurare ai Paesi membri e – in particolare – a quelli a basso debito pubblico che, nonostante la specificità nazionale nella declinazione delle nuove regole, tutti gli altri Stati membri – inclusi quelli ad alto debito pubblico – rispetteranno gli impegni concordati con la Commissione e resi espliciti nei loro piani quadriennali?
La Comunicazione non elude il problema. Essa insiste sulle forme di monitoraggio rispetto alle iniziative dei singoli Paesi, che possono ostacolare la realizzazione degli impegni assunti, e irrobustisce i controlli e le sanzioni ex post nel caso di deviazioni che sono di rilevante portata o che si sommano a precedenti violazioni. Inoltre, nel caso di mancati investimenti o riforme da parte di Paesi che hanno ottenuto dilazioni nei tempi di aggiustamento, la Commissione dispone del potere di modificare i relativi piani nazionali di rientro. Eppure, dopo aver precisato che i Paesi della Ue non possono eludere il quadro sanzionatorio modificando il proprio piano prima della scadenza quadriennale salvo che in circostanze eccezionali tali da minare la realizzabilità dei vecchi progetti, si ricorre allo strumento abituale per fare sì che – in generale – gli Stati membri rispettino gli impegni assunti: ammonimenti per eccesso di deficit nel ramo preventivo e attivazione di corrispondenti procedure nel ramo correttivo. Come mostra l’evoluzione recente della governance economica europea, la deterrenza di questi strumenti è però di bassa efficacia.
Anche se appare paradossale, la radice della difficoltà trova spiegazione nel fatto (sopra richiamato) che il ridisegno della governance economica e fiscale europea adotta il metodo Rrf. Quel metodo si caratterizza per l’efficacia delle sanzioni: il Paese, che non rispetta gli impegni assunti, perde l’accesso alle fonti di finanziamento che il programma gli aveva attribuito. Come ricorda la Comunicazione, tale procedura non è però applicabile al Patto di stabilità e crescita, vecchio o nuovo che sia. A differenza del Rrf che alloca risorse europee ai singoli stati membri, le regole fiscali centrali si applicano a risorse nazionali e, pur potendo disegnare percorsi specifici di rientro, non hanno il potere di entrare nel merito di scelte nazionali relative a investimenti e riforme. Tuttavia, l’enunciazione del problema contiene in sé la sua soluzione. Basta istituire un robusto legame fra le regole fiscali riformate e la capacità fiscale centrale (Cfc), di cui il programma Rrf è una forma.
La Cfc è il tema cruciale trascurato nella Comunicazione della Commissione. Oltre ad allocare presso i Paesi della Ue le risorse del Rrf una volta realizzati i progetti previsti nei tempi previsti, essa sollecita una prosecuzione di Next Generation - Eu oltre il 2026. Inoltre, lo strumento insostituibile per superare le strozzature dal lato dell’offerta, che oggi alimentano eccessi di inflazione e instabilità nella Ue, è un’altra forma di Cfc: la produzione di appropriati beni pubblici europei. L’efficace sanzione, da comminare ai Paesi che non rispettino gli impegni assunti nei propri piani quadriennali, è dunque ovvia: l’esclusione, parziale o totale, dalla distribuzione delle risorse centrali aggiuntive e dai benefici della produzione di beni pubblici europei.
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