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La mescolanza corretta di politiche monetarie e fiscali per rilanciare la Ue

Dopo aver fornito una risposta efficace allo shock pandemico grazie alla combinazione fra politiche monetarie non convenzionali e flessibili, politiche nazionali di bilancio espansive e politiche fiscali accentrate crescenti, le iniziative di politica economica dell’Unione europea stanno oggi incontrando difficoltà nel fronteggiare le code negative della pandemia e lo shock bellico

di Marcello Messori

(artjazz - stock.adobe.com)

4' di lettura

Dopo aver fornito una risposta efficace allo shock pandemico grazie alla combinazione fra politiche monetarie non convenzionali e flessibili, politiche nazionali di bilancio espansive e politiche fiscali accentrate crescenti (anche se temporanee), le iniziative di politica economica dell’Unione europea (Ue) stanno oggi incontrando difficoltà nel fronteggiare le code negative della pandemia e lo shock bellico. Le dinamiche inflazionistiche, innescate dalle strozzature produttive durante il rimbalzo del 2021 e poi drasticamente aggravate dall’impatto dell’invasione russa dell’Ucraina, hanno innanzitutto riguardato le materie prime (in particolare, i beni energetici) e i prodotti alimentari ma si stanno ora estendendo ad altre tipologie di beni e servizi. Esse hanno imposto restrizioni nella politica monetaria della Banca centrale europea (Bce) che, sommandosi ai vincoli produttivi, hanno causato rallentamenti della crescita.

L’economia dell’euro area (Ea) rischia, così, di entrare in una fase di stagflazione difficilmente superabile mediante la politica monetaria. Per porre sotto controllo un’inflazione legata all’offerta, questa politica dovrebbe infatti assumere un’intonazione così restrittiva da soffocare ogni ripresa della domanda e da causare una nuova recessione (che sarebbe la quinta nell’Ea dal 2008). D’altro canto, adottando iniziative più graduali e moderate, nel breve termine la Bce rischia di produrre risultati comunque inefficienti. Queste iniziative portano a riduzioni inadeguate dei tassi di inflazione e, al contempo, rendono insostenibile la riproduzione di politiche fiscali nazionali espansive degli Stati membri ad alto debito pubblico e impediscono una crescita equilibrata nella Ue.

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Tali considerazioni mostrano che le attuali difficoltà della politica economica europea dipendono dalla politica monetaria. Azzerando gli acquisti netti di titoli del debito pubblico e annunciando aumenti nei tassi di interesse di policy, la Bce ha adottato decisioni inevitabili date le attuali tensioni inflazionistiche e la precedente scelta di chiudere i programmi non convenzionali prima di aumentare i tassi.

Di fronte ai conseguenti e prevedibili incrementi nei differenziali di interesse sui titoli pubblici dei diversi Stati membri e alla conseguente frammentazione dei mercati finanziari europei, la Bce ha però fornito falsi segnali. Essa ha, infatti, dichiarato che le sue scelte restrittive si sarebbero accompagnate alla creazione di uno “scudo anti-spread” in grado di evitare la frammentazione dei mercati; almeno per ora, l’impegno si è però limitato a studiare un problema di difficile soluzione.

La difficoltà risiede nel fatto che questo “scudo” non può limitarsi al reinvestimento in specifici titoli pubblici dei proventi legati alla scadenza dei titoli acquistati con i vecchi programmi non convenzionali. Un semplice confronto fra le quantità in gioco chiarisce perché tale iniziativa, più volte annunciata e già data per scontata, sia inadeguata ad arginare la frammentazione dei mercati. Inoltre, sarebbe singolare se la Bce riavviasse – magari sotto altra forma – uno dei programmi appena chiusi di acquisto di titoli pubblici. È infine illusorio pensare che, nel pieno di uno shock bellico in grado di produrre impatti destabilizzanti anche sugli assetti politico-istituzionali dei principali Paesi dell’Ea (si pensi al recente caso francese), si possa ricorrere allo “scudo” già esistente (il cosiddetto «Outright monetary transactions») e fondato sul “whatever it takes” di Draghi nell’estate del 2012. La condizionalità di quel programma, che impone il preventivo ingresso del Paese interessato nei processi di aiuto europeo gestiti dallo European Stability Mechanism, lo rende oggi inutilizzabile.

La conclusione è che le difficoltà della politica economica della Ue nel fronteggiare gli attuali rischi di stagflazione non sono superabili facendo leva sulla politica monetaria. Anche se la Bce cavasse dal cappello un espediente di breve termine in grado di ridurre la frammentazione dei mercati, nel migliore dei casi la Ea ricadrebbe nelle distorsioni tipiche della fase 2011-2018, quando la politica monetaria era il “solo gioco in città” ossia compensava una politica fiscale inadeguata (la cosiddetta “dominanza fiscale”). Per di più, oggi vi sarebbe l’aggravante di indebolire la già limitata capacità della Bce di controllare l’inflazione. La soluzione consiste, invece, nell’adattare la lezione della pandemia alle nuove circostanze. Il successo della risposta allo shock pandemico è dipeso da una combinazione di politiche monetarie e fiscali (ossia, un policy mix) ben calibrata per superare la peggiore depressione economica degli ultimi due secoli in tempo di pace. La situazione attuale, caratterizzata dalla persistenza di eventi negativi eccezionali (il prolungarsi della pandemia in Cina, la guerra ai confini orientali della Ue), indica che una graduale restrizione della politica monetaria è inevitabile; per contro, vi sono nuovi spazi per l’espansione di una politica fiscale accentrata che – pur se a carattere temporaneo, come impongono i trattati europei esistenti – tende ad assumere una forma ricorrente a causa della sequenza di eventi eccezionali negativi. Insomma, di fronte alla stagflazione, l’efficiente policy mix della Ue deve proseguire lungo la strada aperta da Next generation – Eu e dal Recovery and resilience facility (Rrf).

RePowerEu e le iniziative economiche a favore dell’Ucraina indicano che le istituzioni europee stanno seguendo questa strada, nel senso che stanno applicando il “metodo Rrf” ad alcuni dei problemi cruciali creati dallo shock bellico. Il pieno affermarsi di tale prospettiva richiede, tuttavia, due condizioni. La prima è che i Paesi della Ue con i più ambiziosi Piani nazionali di ripresa e resilienza, legati al Rrf (in primis, l’Italia), non si trincerino dietro le difficoltà inflazionistiche e si mostrino capaci di realizzare le riforme e gli investimenti alla base dei loro progetti nei tempi previsti. La seconda condizione è che gli sforzi delle istituzioni della Ue siano sostenuti dalla riforma della governance economica europea. Anche se la clausola di sospensione del “Patto di stabilità e crescita” è stata estesa alla fine del 2023, la Commissione si è impegnata ad affrontare il problema della ridefinizione delle regole fiscali accentrate dal prossimo settembre. È essenziale che questo nuovo disegno di governance sia omogeneo all’impostazione del Rrf, ossia preveda aggiustamenti rigorosi ma graduali dei debiti pubblici nazionali eccessivi che tengano conto delle specificità dei singoli Paesi e che garantiscano spazi per una crescita sostenibile di lungo periodo. Una tale ridefinizione delle regole fiscali europee agevolerebbe il successo del Rrf, stimolerebbe ulteriori iniziative fiscali accentrate, offrirebbe margini di flessibilità alla politica monetaria della Bce e risolverebbe la creazione di scudi adeguati mediante il nuovo policy mix.

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