La mia quarantena tra piumoni, file di formiche e ritratti di broccoli
Stare a casa e fare esperienze che non avevi mai pensato di fare. Immortalare ortaggi, per esempio. Oppure avvertire, per la prima volta, davvero, il desiderio di vedere gli altri. Il personalissimo diario (in parole e immagini) del fotografo torinese Alessandro Albert
di Alessandro Albert
3' di lettura
Cambio il silicone del piatto doccia. Sono mesi, forse anni, che pensavo di farlo: è vecchio e nero e c'è un buchino dal quale escono le formiche. Quei puntini con zampette creano delle carovane sulla ceramica bianca. Le osservo e decido che hanno come unico scopo quello di prendersi gioco di me. Mi vogliono far credere che in quelle curve vive c'è una logica ancestrale alla quale io non ho accesso, un qualcosa di alto e comprensibile solo a loro. Ma in realtà c’è nulla di nulla.
Andiamo avanti.
Guardo la caffettiera sul gas finché non inizia a gorgogliare. A quel punto mi chiedo quando è meglio spegnere il gas. Magari ci penso pure qualche minuto tirando in ballo leggi della fisica e teorie varie. Faccio un post su Facebook sull'argomento. In principio mi mancavano i caffè presi ai bar. Ora no, non più.
E quindi?
Quindi mi sveglio quando mi sveglio. Ancora nel letto penso a quello che mi va, prima di alzarmi. Metto a posto i pensieri e sistemo i sogni, quando li ricordo. Il piumone è piacevole e tiene caldo.
Capisco. E dopo?
Sto davanti al computer. Seguo i social, leggo notizie e scrivo ad amici vicini e lontani che, in questo caso, sia che vivano in Spagna o a tre isolati da casa mia, poco cambia. Sento persone che non sentivo da anni. Ora so che mi mancano. Provo forse per la prima volta il sincero e vero desiderio di vedere degli altri esseri umani.
Non è finita.
No... Scatto fotografie. Costruisco una mini sala pose e ritraggo frutta e ortaggi. Faccio un autoscatto in cortile. Dei test su luci e ottiche.
E...
E sì, pubblico un libro che avevo scritto venticinque anni fa perché scopro che su Amazon è sufficiente caricare il file e te lo mettono subito in vendita sia in eBook sia in versione cartacea. La soddisfazione di aver fatto in un giorno quello che non ero riuscito a fare in un quarto di secolo mi tiene su ancora adesso.
E alle ore 19 circa?
Esco in cortile. Con la mia compagna Nadia. Facciamo esercizio. Saltiamo la corda e ci alleniamo a boxe. A volte si unisce anche mia figlia e mio figlio e lui tira certe sleppe... Ecco, nel vedermi dal di fuori, l'immagine di noi due che, vestiti da città ma con una sciatteria domestica da fine settimana, facciamo quegli esercizi in quel cortile che sembra Beirut dopo la guerra, con quelle quinte dei palazzi malandati, in una luce che confina con la notte, devo dire che un po' mi inquieta. È l'immagine simbolo di un qualcosa che ancora non riesco a decifrare... Il nostro fedele cane ci guarda come fossimo due folli.
Poi?
Poi tiro a fare tardi la sera. Ma ho ricominciato a leggere e se continua così capace anche che mi rimetto a scrivere...
E ieri sera?
Ieri? Eh... Ieri sera sono uscito col cane, verso l’una. Fuori sul marciapiede qualcosa mi ha bloccato. C'era un pulviscolo d'acqua che iniziava a scendere. Una brezza fredda e pulita, ma anche spettrale, da sotterraneo di cimitero, che faceva dondolare le luci della via deserta. Un appena percettibile tic tic: un pezzo di nastro isolante si era scollato da un tubo e il vento lo faceva battere sul muro. Nessun altro suono, niente, neppure quel rumore bianco che emette una metropoli, nessuna anima viva. Nella monocromia della notte, solo lo schermo giallo e muto di una finestra illuminata ma privo di ombre cinesi.
Come è finita?
Ho sentito un po' di ansia. Ho girato i tacchi. Mi sono chiuso il pesante portone alle spalle con la sensazione che rasentava la certezza: nulla sarà più come prima.
Aiuto.
No, non lo dico in senso negativo.
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