La “milanesità” del Papa argentino
di Carlo Marroni
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Milano è la più grande diocesi d'Europa, e forse del mondo per densità di parrocchie, fedeli, oratori, scuole. E si è visto, oggi. Milano ha abbracciato il Papa argentino che mai nella sua vita aveva messo piede nella capitale del nord, patria di papi e santi, culla storica della tolleranza religiosa. E Bergoglio ha speso tutto se stesso nell'incontro con la gente, con i religiosi, con i carcerati, gli immigrati, i ragazzi.
Nel programma molto fitto affrontato senza fretta (accumulando infatti un discreto ritardo sulla tabella), nelle lunghe conversazioni a braccio – molto faticose – con giovani e sacerdoti, nei saluti, dentro il carcere di San Vittore, alle Case Bianche, il quartiere periferico dove per sua volontà è iniziata la visita, dentro le case di tre famiglie, di cui una di immigrati del Marocco. Il Papa secondo molti osservatori ha ritardato il suo viaggio a Milano – l'attesa era prima per il 2015 e poi l'anno successivo – ma la giornata di oggi spazza via ogni riserva mentale ed esalta in qualche modo la milanesità della pastorale bergogliana.
Il ricordo del sacerdote lodigiano che in Argentina lo accompagnò al sacerdozio è un tributo alla grande regione, «lo devo a voi lombardi, grazie!» dice a San Siro, piena in tutti gli ordini di posti che neanche la finale dei mondiali. Milano è una chiesa di solidarietà, integrazione, tolleranza, sperimentazione, convivenza di anime diverse, ma anche un'espressione di grande fierezza, di unicità, forse complice il rito ambrosiano, unico al mondo, e il Papa ha celebrato con quello, visto che l’area di Monza era nella diocesi ambrosiana). Dice un ragazzo, al microfono, poco prima dell'arrivo di Bergoglio, che «qui a San Siro giocano i nostri campioni», una rivendicazione di orgoglio condiviso con gli avversari, una bella lezione (incidentalmente anche per chi pensa che abbandonare il proprio stadio sia ormai un valore).
Salutano l'arrivo del Papa l'attore cattolico Giacomo Poretti e il cantautore laico Roberto Vecchioni, e tutti riconoscono nel messaggio del Papa una sintesi di “valori” in questa fase di forte ripresa di Milano innescata dal successo dell'Expo e dalla buona politica di questi ultimi anni. Lui arriva da sacerdote – dice in Via Salomone – e avverte dei rischi profondi di ridurre tutto a cifre, di lasciare spazio alla speculazione (“sui poveri, sui migranti, sui giovabi, sul loro futuro”), di avere paura di essere minoranza, della rassegnazione, di temere le sfide. Sono questi – o anche questi – i valori non negoziabili, quella di perseguire una “fede non ideologica”, che rifugga il clericalismo, il funzionalismo.
La visita a Milano poi arriva alla vigilia del cambio della guarda alla guida della arcidiocesi: il cardinale Angelo Scola ha 75 anni e con ogni probabilità entro l'anno sarà nominato il suo successore, forse già dopo l’estate. Nomi come sempre ne girano, ma forse quello giusto non è ancora stato indicato. Già perché il Papa da gesuita ascolta tutti, ma poi decide da solo, e molto spesso controcorrente. In ogni caso si tratterà uno dei pastori destinati a rappresentare la Chiesa italiana del prossimo futuro, come il cardinale-teologo Scola è stato nell'ultimo decennio. L'incontro a San Siro si è concluso con un appello del Papa contro il bullismo, forse il più forte mai pronunciato al mondo: «Promettete di non farlo?» ha fatto ripetere più volte ai 70 mila cresimandi, «Non fatelo, non permettete che lo facciano altri! Capito?!» ha concluso senza sorridere, con volto un po' severo. Lo aveva fatto anche altre volte, e tutti avevano compreso che non scherzava.
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