Classifiche sostenibili

La moda italiana leader nella circolarità: dalle start up ai grandi gruppi, ecco chi innova di più

Nel report “100 Italian Circular Economy Stories” di Fondazione Symbola ed Enel la maggior parte delle aziende più virtuose in tema di circolarità appartiene al tessile-moda

di Chiara Beghelli

“Where Are Your Clothes Born?”, progetto fotografico di Benjamin Von Wong

3' di lettura

C’è una classifica, oggi fra le più virtuose e importanti, in cui l’Italia svetta: nel riciclo di rifiuti, ha la più alta percentuale sulla totalità, il 79,4%, più del doppio rispetto alla media europea che si ferma al 49%. Una quota che permette di risparmiare ogni anno 23 tonnellate di petrolio e 63 tonnellate di CO2. Dietro a questi numeri ci sono storie di imprenditoria circolare raccolte dal rapporto “100 Italian Circular Economy Stories”, appena pubblicato da Fondazione Symbola insieme a Enel e giunto alla seconda edizione.

Nel volume, e nella mappa consultabile qui, sono raccolte 100 casi di economia circolare ritenuti particolarmente significativi per la solidità delle soluzioni adottate e per la loro originalità. E fra le tante categorie, dall’agroalimentare alle utilities, dall’automazione all’edilizia, l’industria del tessile-moda è la più presente, con 13 storie, conferma del profondo impegno di questo segmento del made in Italy nella sostenibilità.

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Il primato di scarpe e tessuti riciclati

Fra i 12 casi ci sono quelli di industrie tessili storiche, marchi globali, aziende innovative e start up come il calzaturificio Acbc (Anything Can Be Changed). Quest’ultimo, basato a Milano, è nato nel 2017 ed è stata la prima azienda italiana di calzature certificata B-Corp: le scarpe sono tutte in materiali riciclati come il poliestere ricavato dalle bottiglie o scarti della produzione di mele in Tirolo.

Il tessile italiano si conferma fra i settori più all’avanguardia in termini di sostenibilità e circolarità, come dimostrano i casi di Aquafil , l’azienda che ha brevettato l’Econyl, nylon ricavato da riciclo di reti da pesca e tappezzerie dismesse, sempre più usato anche dai marchi di moda più importanti, e Manteco, fondata nel 1941 a Prato e sin da allora attiva nella circolarità, dal momento che inizia riciclando vecchi capi di abbigliamento e coperte militari dismesse: oggi punta sulla nuova lana riciclata MWool, disponibile in oltre mille colori grazie a un processo di colorazione innovativo che si basa sulla combinazione di fibre in diverse tonalità, e Woolten, nata da MWool e Tencel.

Non manca Radici Group, il gruppo bergamasco che ha di recente lanciato il primo collant riciclato, in collaborazione con Oroblu, e le innovative calze sportive in Renycle, tessuto nato dal riciclo di fibre di nylon 6.

Altra azienda storica è Santori Pellami di Monte Urano, nelle Marche, fondata nel 1890 e guidata oggi dalla quarta generazione della famiglia, che ha brevettato la pelle Naturella, priva di cromo e con livelli minimi di metalli pesanti, biodegradabile al 77%.

Le start up animate da impegno e recupero

Fra le start up il rapporto ha selezionato Atelier Riforma, progetto a vocazione sociale di Elena Ferrero e Sara Secondo basato a Torino, che in un anno e mezzo di vita ha raccolto 8mila capi, salvandoli dalle discariche: i capi raccolti dal conferimento di abiti usati sono selezionati e lavorati da un network di artigiani, sartorie sociali soprattutto, che li trasformano in nuovi capi e venduti su un e-store con tanto di certificato di tracciabilità. Blue of a Kind, di Milano, trasforma capi vintage di qualità, recuperati in Italia e Francia, in abiti sartoriali, secondo un processo condotto interamente a mano da artigiani specializzati.

Etichetta di jeans Blue of a Kind

Si occupa di upcycling creativo di stock tessili in giacenza D-Refashion lab, progetto di D-house (che a capo alla divisione ricerca e sviluppo di Bond Factory, azienda tessile abruzzese), e nelle Marche si trova Hoc Lab Tech, che tramite degli avanzati software di progettazione snellisce la fase di prototipazione e favorisce la produzione di tessuti realizzati con materiali naturali come lana d’alpaca e lino (con cui ha messo a punto anche tomaie) e derivate dal recupero di scarti come il caffè e la soia.

Fra sharing economy e tecniche anti-sovrapproduzione

Nella selezione appaiono anche aziende giovani ma già solide come Dress you Can , fra le prime piattaforme italiane di moda a noleggio, cresciuta velocemente e di pari passo con la sharing economy, e Rifò, nata nel 2017 nel distretto tessile pratese e che riscrive le tecniche degli antichi cenciaioli della zona producendo capi con fibre tessili rigenerate, capi che vengono prodotti peraltro secondo gli ordini e dunque scongiurando il rischio di sovrapproduzione.

Earth Top Handle Bag di Salvatore Ferragamo

Salvatore Ferragamo è l’unico grande brand del settore incluso nel report, grazie al suo recente e ricco programma di sostenibilità che ha portato anche al lancio di prodotti come la Earth Top Handle Bag in sughero certificato Fsc, fodera in lino ed elementi in poliestere riciclato. E sono componibili fai-da-te e senza colla le nuove scarpe Vibram , con l’iconica suola carrarmato in materiale riciclato: l’azienda è una delle prime ad aver puntato sulla circolarità, dal momento che risale al 1994 il lancio di Ecostep, suola realizzata con il 30% di gomma ricavata da scarti industriali.

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