La moda ritorna verso se stessa, ma rinnova l’incontro fra rigore e immaginazione
Nell’aria di Milano c’è una vena di pensosa leggerezza, che si traduce in proposte sospese fra severità e voglia di evasione, da Emporio Armani a Etro, passando per Max Mara e il nuovo Roberto Cavalli
di Angelo Flaccavento
3' di lettura
Più cambia, vuole l'adagio, più è la stessa cosa. La massima non perde di efficacia: giunte al secondo giorno, le sfilate milanesi confermano che la moda, nel bene come nel male, riprende nell'esatto punto in cui aveva interrotto le trasmissioni. Coerenza o sventatezza?
In tema di coerenza - d'altro genere, sia chiaro - Giorgio Armani ha di certo parecchio da dire. A conclusione della sfilata co-ed che celebra il quarantesimo anniversario di Emporio Armani, la collezione nata sotto il segno dell'aquila nel 1981 e sviluppatasi in un brand contenitore, dichiara: «Tengo duro, faccio il mio e non cambio il mio modo di pensare». Onore al merito: la durata dello stile Armani, anche nella sua versione metropolitana, giovane, trasversale o come la si vuole chiamare, è indubitabile. Potere della semplicità, del lavoro in sottrazione, e del desiderio di rispondere allo spirito dei tempi; a modo suo, certo.
C'è una vena di pensosa leggerezza nell'aria a Milano. Armani la cattura nell'idea di un viaggio che parte in città, con il blu profondo, e arriva, passando per il deserto, in una India immaginaria, con i colori vividi arraggiati in elettriche contrapposizioni e le collane per lui e per lei. Ineffabile e ottimista, la prova è l'ennesimo update della formula, con una coesione tra mondo maschile e femminile che fa ben sperare per il futuro. A conclusione dello show, Armani inaugura la mostra sul quarantesimo negli spazi del Silos: una retrospettiva-manifesto che è una bomba visiva, minata però da uno stile espositivo a tratti vetrinistico.
Leggerezza è una lingua che a Milano i capaci maneggiano con personalità. Daniele Calcaterra ne fa la materia di uno stile lieve e concreto, dai tagli impeccabili, i volumi avvolgenti e i colori fondenti, pensato per mettere in risalto la donna più che il vestito. Gabriele Colangelo è etereo, ma non evanescente, anzi materico e presente: la collezione che immagina per Giada è allungata, flessuosa, di una eleganza appena un po' severa, gentile.
Nel mondo rigoroso di Jil Sander, i coniugi Lucie e Luke Meier si muovono con molto agio. Hanno portato una ventata di astrazione, e una eleganza sbilenca che deve qualcosa al Céline di Phoebe Philo - la quale a sua volta molto doveva al Jil Sander di Jil. Il lavoro dei due è spesso freddo, ma non a questo giro. Non raggiunge temperature bollenti, certo, ma accoglie concretezza e imperfezione.
È bollente, invece, la femmina predace, maculata, sandalata e assatanata immaginata da Fausto Puglisi per l'esordio in passerella come direttore creativo di Roberto Cavalli. Versaciano almeno quanto Cavalli stesso nella proposta di uno stile dionisiaco e sfrenato, Puglisi azzecca la ricetta, anche se la sexy bombardona è modello estetico fuori tempo massimo. C'è una ruvida freschezza nella proposta che pare un buon seme da cui partire.
Da Blumarine, Nicola Brognano continua a guardare ai tardi anni novanta e ai primi anni zero, in particolare quelli di MTV, di Missy Elliott, delle Destiny's Child e della TLC: musiciste che con lo stile hanno giocato da maestre, mescolando pop e sfrontatezza, jeans e colore, ragazzaccio e sciantosa. Il design c'entra poco con il progetto, certo: qui, piuttosto, si gioca di editing dell'archivio e assemblaggio.
Nell'aria, comprensibilmente, c'è voglia di condivisione e connessione, di comunione e umanità: come nei raduni hippie degli anni Sessanta, o i rave dei Novanta. Veronica Etro guarda ad entrambe le subculture, da Etro, e le mescola in una fioritura lisergica, invero molto giovane, di grandi jeans e lunghi abiti, di stampe ipnotiche e colori aciduli. Non mancano i tocchi esotici tipici del marchio, ma l'impressione è di un movimento deciso fuori dalla comfort zone.
L'apertura in nero beatnik ed esistenzialista, da Max Mara, è un preludio depistante, perché ben presto si accendono i colori, e il buongiorno tristezza lascia spazio al buongiorno gioia. La collezione è invero un omaggio al vestire perbene e vacanziero degli anni Sessanta più spensierati: linee geometriche, gambe scoperte, ludica sveltezza. A tratti si deraglia verso incongrue sovrapposizoni sportivo-giovanilistiche, ma nel complesso il messaggio tiene.
Infine, le ninfe di Del Core, nome nuovo al secondo show, emergono dalla nebbia fitta come specie mutanti e glamourose di piante aliene, forse carnivore. Impeccabile nell'esecuzione, la prova è frastagliata: si sente il bisogno di trovare un filo che tenga tutto insieme, sempre che la frammentazione confondente non sia il messaggio. La coerenza non necessariamente è una virtù.
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