La moda tornerà ai livelli pre-Covid nel 2023. L’appello: «Riaprire fiere e negozi»
Secondo Confindustria Moda i ricavi del 2020 sono calati del 26%, persi 25 miliardi in un anno. Il saldo commerciale resta positivo, ma l'export fatica a ripartire
di Giulia Crivelli
4' di lettura
«Siamo il settore più colpito dalla pandemia, dopo il turismo. Il sistema italiano del tessile-moda-abbigliamento vive di mobilità e fisicità, potremmo dire. Abbiamo reagito e continuato a investire, ma ora è necessario tornare ad allestire fiere, a viaggiare, ad accogliere le persone nei negozi, turisti compresi. Speriamo che la vaccinazione porti a questa svolta». Cirillo Marcolin introduce così le previsioni di Confindustria Moda per il 2021 e il consuntivo del 2020, alla vigilia della fashion week donna,che inizia oggi a Milano con un format phygital: le sfilate si terranno secondo un calendario ricco e fitto da mercoledì 24 a lunedì 1° marzo, saranno tutte però a porte chiuse.
In presenza, ma su appuntamento e con rigidi protocolli anti Covid, ci saranno invece molte presentazioni in showroom, mentre in formato puramente digitale si stanno svolgendo, sulle rispettive piattaforme, le fiere organizzate da Pitti Immagine (uomo, bambino e filati) e Milano Unica, la manifestazione dedicata a tessuti e accessori tessili.
Sfilate milanesi e fiere di Pitti presentano le collezioni per l'autunno-inverno 2021-22, l'evento del tessile proietta ancora più in là, con le collezioni della primavera-estate 2022.
Ed è proprio avanti che Marcolin, presidente di Confindustria Moda dal giugno 2020, invita a guardare: «Il 2020 si chiude con un fatturato di 75,2 miliardi, in flessione del 26% rispetto al 2019. Per il secondo semestre di quest'anno possiamo prevedere una stabilizzazione dei cali, ma solo nel 2022 potremo contare su un ritorno alla crescita e dovremo aspettare il 2023 per rivedere i livelli pre Covid».
La reazione delle aziende, da monte a valle, dalle Pmi del tessile ai grandi marchi c'è stata e nella seconda metà del 2020 lo scenario è leggermente migliorato, anche grazie al rimbalzo seguito al primo lockdown. «Nessun imprenditore può permettersi di scoraggiarsi: vedere le attività produttive o commerciali chiuse o che marciano a rilento è il peggiore degli incubi – aggiunge Cirillo Marcolin –. Nessun imprenditore vorrebbe ridimensionare produzione od occupazione e all'inizio dell'emergenza il tessile-moda ha fatto di tutto per tutelare i lavoratori, anticipando ad esempio la cassa integrazione. Sul 2021, ovviamente, pesano ancora molte incognite e tutto dipende da come procederà la campagna di vaccinazione, la strada più veloce per trovare, insieme, la nuova normalità di cui si parla».
Il presidente di Confindustria Moda non pensa certo di poter cancellare l'anno della pandemia: è chiaro che alcuni cambiamenti, accelerati dall'emergenza sanitaria ed economica, resteranno. E che altri diventeranno necessari, soprattutto sulla digitalizzazione, fronte sul quale le Pmi, ha sottolineato Marcolin, «andranno aiutate e sostenute, anche da associazioni come la nostra».
L'e-commerce B2B e B2C è stato un'ancora di salvezza durante i mesi del lockdown, in Italia e nel mondo, ma la moda ha bisogno di ritrovare le occasioni di incontri dal vivo: «Vale per le aziende, che durante la pandemia hanno capito ancora più a fondo l'importanza delle fiere come occasione di confronto, ancora prima che di raccolta ordini – aggiunge Marcolin –. Ma vale allo stesso modo per le persone: se c'è una cosa che dovrebbe farci essere cautamente ottimisti è quello che è successo quando i ristoranti e i negozi hanno riaperto. Qui in Italia e, più di recente, in Cina o, da qualche giorno, in Israele. Le persone hanno voglia di tornare ai riti quotidiani, agli incontri, alla vita sociale».
Il presidente di Confindustria Moda vede con favore gli sforzi fatti per rispettare l'appuntamento della fashion week donna di febbraio, un lavoro di squadra tra aziende, Camera della moda, Comune di Milano e in partnership con molti attori del settore, da Confartigianato a Rinascente, che allestirà uno spazio dedicato a undici giovani stilisti: i designer emergenti sono il futuro della moda ma, come tutti i giovani, sono stati tra i più penalizzati dall'anno di Covid.
«Siamo sempre stati e ci sentiamo ambasciatori del made in Italy nel senso di bello e ben fatto - ricorda Marcolin –. Il saldo commerciale 2020 della moda, nonostante il crollo di oltre il 20% dell'export, che per noi vale in media poco meno del 70%, resta positivo per 17,4 miliardi, confermando il settore come il primo contributore alla bilancia commerciale del Paese fra le tre F, cioè Fashion, Food e Furniture. Ma la competizione globale è agguerrita: i mercati dove siamo già presenti vanno presidiati e difesi, quelli dove i grandi nomi sono già sbarcati devono essere una prospettiva per tutti. Perché possa succedere però il made in Italy deve continuare ad avere le sue vetrine, siano queste fiere o negozi fisici e sul web. E deve tornare il turismo, perché chiunque venga in Italia e faccia qui un'esperienza, di shopping o di vita quotidiana, diventa ambasciatore del bello e ben fatto italiano».
Dalle rilevazioni a campione di Confindustria Moda, nei primi mesi del 2021 si registra un trend simile a quello del trimestre precedente, con un calo del fatturato del 18,4%. Anche per il secondo trimestre del 2021 è attesa una attenuazione della flessione, con un calo previsto di circa il 10%, precisa Gianfranco Di Natale, condirettore generale di Confindustria Moda.
«Il vero e proprio recupero è previsto a partire dal terzo trimestre del 2021 con una decisa accelerazione nel quarto, ovviamente nell'ipotesi di avanzata diffusione del piano vaccinale, con un progressivo ritorno a livelli di attività pre-covid nel corso del 2022», conferma Di Natale. «Venivamo da anni di crescita costante, perdere il 26% in un anno è stato uno choc per tutti, da monte a valle – conclude Marcolin –. Ma pensiamo che la filiera possa assorbirlo, facendo ancora più sistema e, confidiamo, con l'aiuto di chi decide la politica economica».
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